Le poesie atlantiche a EtnaFest

“In un periodo in cui la parola è spesso vilipesa, umiliata, massacrata, noi invece vogliamo fare della parola un inno, considerandola come la più nobile tra le forme d’espressione” così Angelo Scandurra, direttore artistico della categoria “arte” di EtnaFest, ha aperto le danze della due giorni (17 e 18 Marzo) di poesia internazionale VOCI DEL MONDO in programma presso i locali de Le Ciminiere. Il Festival è l’incontro di scrittori che giungono da diverse parti dell’Europa Settentrionale per confrontarsi a Catania, una tra le città più a sud. “La nascita di questo evento letterario – ha tenuto a sottolineare ancora Scadurra – è per Catania l’occasione di diventare capitale europea di poesia e straordinario incontro tra culture differenti”. Voci del Mondo dunque giunge alla sua terza edizione coordinata anche quest’anno dall’impegno e la passione del già citato Scandurra, di Biagio Guarrera e di Giovanni Miraglia “vere e proprie anime del festival”. Se negli anni passati erano stati prima i poeti del bacino del Mediterraneo e poi quelli dell’Est Europeo ad alternarsi sul palco, quest’anno sono le “voci” dell’Europa Atlantica e del Nord che smaschereranno al pubblico le proprie lingue, accenti e dialetti forse difficili, callosi e poco musicali, ma davvero affascinanti.

La formula adottata per questo reading internazionale è sembrata la più azzeccata: i poeti illuminati di una luce tiepida, hanno offerto al pubblico i propri versi tradotti simultaneamente s’uno schermo posizionato alle loro spalle. Non chilometriche esibizioni quindi, ma piuttosto un assaggio dell’arte letteraria di ognuno: sonetti, brevi composizioni e canzoni più corpose.

 

La prima che ieri sera è salita sul palco delle Ciminiere è stata la portoghese Rosa Alice Branco: una vera e propria istituzione nel suo paese dove insegna psicologia della percezione, è responsabile di un festival internazionale di poesia e dirige due riviste letterarie. I suoi sono versi delicati e resi musicali dal lavoro metrico applicato ad una lingua armonica quale è il portoghese. Le sue parabole d’amore hanno come scenario gli scogli spigolosi del Portogallo e la lentezza del tempo. Dalla dolcezza poi, si è passati alla durezza dell’olandese di Willem Van Toorn. Durezza formale, non certo nei contenuti dove il poeta di Amsterdam offre lunghi viaggi immaginifici in cui il paesaggio e la vita quotidiana s’intrecciano e sono commentati da versi semplici e “dialogati”. A sostituire la poetessa irlandese Nuala Nì Dhomhnaill costretta a rinunciare per motivi personali ci ha  pensato la svedese Katarina Frostenson in programma il secondo giorno. ”Ho preparato una selezione di testi sul tempo” dice timidamente a Flaminia Belfiore brava conduttrice della serata. La Frostenson ha uno stile sui generis, si diverte a non terminare le frasi e a lasciare tutto in sospeso. I suoi testi sono, così, assolutamente anticonvenzionali con forti combinazioni fonetiche e spiazzanti accostamenti tra immagini e simboli. Sconvolge la sua “Bari”, dove racconta un viaggio onirico tra le coste pugliesi salate di salsedine con spostamenti in treno e in autobus.

L’intermezzo musicale a cura del Paolo Sorge Trio, permette alla platea di tirare un po’ il fiato rispetto alla tensione emotiva del reading ma, allo stesso tempo, di godere del retrogusto della sostanza lirica assaporata fino al momento. Quando le luci si riabbassano la Belfiore chiama sul palco il danese Søren Ulrik Thomsen. Il cinquantenne “artigiano della poesia” propone un crudo affresco pessimista. La morte, le atmosfere plumbee, la tagliente anima urbana. Il suo recitato è deciso e appare quasi rassegnato. Per Bernardo Atxaga, così, è apparso un gioco da ragazzi alleggerire l’atmosfera. Lui che nella sua carriera ha scritto favole per bambini e che ha sempre calato i suoi testi in mondo immaginari (“Obabakoak”), è abituato a illuminare la scena con trovate imprevedibili. “La fantasia e la realtà sono due mondi che si compenetrano sottolinea Atxaga – non vi è una scissione possibile”.

E poi l’euskara, lingua basca. Un idioma difficile da acciuffare, ma che le delicate parabole esistenziali dell’autore, dotate di un’enorme forza cromatica, sono riuscite a renderla accessibile e luminosa. Atxaga, compositore avanguardista e simbolista, ha fatto sorridere il pubblico anche con qualche ballata in spagnolo (esilarante quella giocata sui numeri) e ha concluso la sua lettura con un pezzo in italiano.

 

Le improvvisazioni jazz di Paolo Sorge e della sua band concludono un incontro gradevole, cartina di tornasole di una fiorente scena poetica Nord europea.

 

 

 

Sabato 18 Marzo, Le Ciminiere ore 20:30

 

David Greensdale (Galles)

Cecilie Loveid (Norvegia)

Tsjebbe Hettinga (Frisia

 

Intervallo Musicale

 

Xabier Rodriguez Baixeras (Galizia)

Tony Harrison (Inghilterra)

 

Finale Musicale


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