Le medichesse, l’importante ruolo delle ebree in Sicilia

Gli ebrei nella Sicilia del XIV sec., raggruppati in masunati o gruppi familiari, rappresentavano un numero non indifferente in rapporto alla popolazione totale dell’epoca. Considerati inferiori e soggetti a leggi restrittive, erano costretti a indossare segni distintivi (la rotella per i maschi e la rindella per le donne), ed erano soggetti al pagamento di una tassa personale (gizia). Erano dotati di ospedali, macellerie e cimiteri propri, solitamente posti fuori dalle mura della città. In alcuni casi, invece, gli ebrei e i cristiani condividevano le attività artigianali, commerciali, creditizie e professionali.

Parecchi ebrei siciliani esercitavano la professione medica e, con l’aumento della popolazione, l’esiguo numero di cerusici costrinse i siciliani all’emigrazione verso i territori – Salerno e il Nord Italia – dove le Scuole Mediche permettevano di studiare e formarsi. Infatti, dalla seconda metà del 1300, la Sicilia era stata terra di immigrazione di medici provenienti dal nord e dal centro Italia, poiché formati in fiorenti università. Gli ebrei siciliani sopperirono, dunque, alla carenza di medici in Sicilia sino a quando la sede universitaria di Catania (1449) cominciò la sua opera di formazione, per supplire alla forte domanda di operatori sanitari e fisici, come venivano chiamati i medici di medicina generale, chirurghi e speziali. L’epidemia di peste, che si protrasse dal 1347 al 1348, aveva messo ancor più in luce la carenza di personale medico. Malgrado ciò, si cercava di scoraggiare l’iscrizione di giovani ebrei a questo indirizzo di studi, sia ponendo impedimenti di tipo normativo al loro accesso alle università sia con l’imposizione, a loro carico, di tasse ben più gravose rispetto a quelle che venivano pretese da qualsiasi altro iscritto. 

Dopo il superamento degli esami universitari gli ebrei ottenevano il titolo di Magister, senza giurisdizione sui discepoli, in quanto era negato loro ogni incarico pubblico che prevedesse potere. Tuttavia, i medici ebrei erano autorizzati all’esercizio della professione e, a volte, le leggi restrittive venivano attenuate in modo da dispensarne alcuni dai divieti loro imposti. I Giudei non potevano curare i cristiani, come previsto nella Costituzione siciliana del 1310, la pena per l’ebreo era di un anno di carcere a pane e acqua e per il cristiano di tre mesi. 

I medici ebrei siciliani, noti per la grande sapienza e abilità nel curare le malattie, venivano consultati da autorità, pontefici e sovrani, e diventeranno medici di corte: i Domenicani venivano curati da medici israeliti per evitare di rimanere senza assistenza sanitaria. Potevano esercitare solo nel luogo di residenza tranne alcuni. Altri furono nominati dalla Regia Camera come medici familiari, domestici e protomedici. Molti medici ebrei che prestavano assistenza furono discriminati: si diceva che il malato, trovandosi in una posizione di debolezza, poteva essere indotto dal professionista ebreo ad una possibile conversione. Gli ebrei siciliani parlavano diverse lingue: latino, arabo, ebraico e il greco, e per questo erano facilitati nella comprensione dei trattati di medicina.

Per quanto riguarda le donne, sappiamo che quelle che praticavano la medicina finivano spesso sul rogo. Ciononostante, la storia della medicina è caratterizzata da importanti figure femminili delle quali ci piace scrivere. Maria la Giudea è considerata la prima alchimista (ne parla Zosimo nel IV secolo d.C.), di cui non sappiamo praticamente nulla, tranne che a lei si attribuisce l’idea del bagnomaria. Non sappiamo in quale secolo prima dell’era volgare sia vissuta. Bisogna constatare che le donne ebree, nel corso della storia, hanno lasciato pochissime tracce.

Nel 1100 una donna, Trotula, esercitava la professione di abilissima ostetrica e di grande medichessa, e proprio a lei si devono diversi trattati di Ostetricia e Medicina. La formazione medica della comunità ebraica e delle donne israelite era affidata principalmente alla pratica dell’arte sanitaria in famiglia, ossia alla presenza di un componente familiare medico. Solo nel Tardo Medioevo gli Ebrei ottennero il diritto di accedere alle Università.

Nel 1376 Virdimura De Medico fu la prima medica sicula-ebrea. Dai documenti storici sappiamo che tra il XII e il XIII secolo nell’isola le medichesse si occupano della salute delle donne e di persone appartenenti ai ceti sociali meno abbienti. Le medichesse operavano soprattutto nei settori della ginecologia e dell’ostetricia. La maggior parte di loro era ebrea e operava nel campo dell’ostetricia e della ginecologia e non erano accettate dai colleghi. Ebrea palermitana, moglie di Pasquale de Medico di Catania, fu la prima donna siciliana ufficialmente autorizzata ad esercitare la professione medica e la chirurgia. Aveva chiesto alle autorità di esercitare la professione medica per aiutare i malati poveri che non avrebbero avuto la possibilità di affrontare le spese sanitarie. Virdimura era molto richiesta per la sua conoscenza della pratica medica, per la mancanza di medici cristiani che non riuscivano a sopperire a tutte le richieste e perché le donne erano restie a farsi curare da un uomo. E questo nonostante non avesse frequentato alcuna Scuola medica, aveva infatti appreso l’arte della medicina collaborando con il marito ed era stata esaminata dal Protomedico di Sicilia (Dienchelele), deputato a conferire l’autorizzazione all’esercizio della medicina. 

Fu Magistra e non poté insegnare nelle istituzioni pubbliche, poiché il dottorato veniva conferito solo ai cristiani. Una cospicua parte della letteratura medica di quei secoli è dedicata alle modalità e ai materiali da utilizzare per “ridare la verginità” alle donne che l’avevano perduta. Le ebree, senza più verginità già prima del matrimonio, potevano incorrere nella ketubba, lo scioglimento del contratto matrimoniale cui seguiva il formale ripudio. Le donne si rivolgevano dunque alle medichesse e alla chirurgia plastica molto in voga nella letteratura medica di quegli anni, riuscendo a ricostruire la parte fisica persa, ma anche per consigli sui metodi contraccettivi, per essere assistite in gravidanza, durante il parto e in caso di aborto. Molto probabilmente a quel tempo, gli ebrei costituirono delle vere e proprie dinastie di medici che comprendevano anche le figlie e le mogli.

Altra donna che ha fatto la storia della medicina è Bella de Paija. Di origine ebrea, risiedeva a Mineo e si occupava di chirurgia: suture, fratture, operazioni. I suoi pazienti le versavano cospicui onorari in segno di riconoscenza. La sua abilità aveva varcato i confini della sua piccola comunità, dove Bella esercitava la sua professione seppur senza l’abilitazione prescritta. Subì varie imposizioni da parte dell’amministrazione locale perché non operasse l’attività, subendo anche la distruzione delle sue attrezzature mediche. Ma la sua notorietà fece sì che la regina Bianca di Sicilia stabilisse per decreto che la dutturissa poteva esercitare l’arte chirurgica in tutte le terre della Camera Reginale, perché è stato comprovato che l’interessata ha praticato cum sanitati di li pacienti. Il riconoscimento alla professione, pur essendo priva di titoli accademici, dimostra sia la specializzazione raggiunta sia l’abilità nella pratica medica. L’abilitazione d’ufficio si accompagnava al privilegio di non pagare le tasse, un privilegio veramente importante.

Le donne ebree nel Medioevo avevano ruoli esclusivamente di tipo domestico e subivano matrimoni combinati. L’inserimento in una società urbana infarcita di elementi musulmani più tolleranti produrrà, tuttavia, uno strano ibrido: donne subalterne, obbedienti e silenziose, maritate già all’età di 12 anni circa, ma che potevano divorziare per uscire da una vita matrimoniale difficile da sopportare, per incompatibilità con il coniuge o per insoddisfazione sessuale o addirittura rifiutare il cognato in sposo una volta rimaste vedove.

Nel tempo aumenterà la loro partecipazione ai riti religiosi e partecipando alle attività della sinagoga, quale luogo della scuola, sapranno leggere e scrivere in caratteri ebraici. Saranno ammesse ai processi come testimoni, salvo accusarle di falsa testimonianza o screditarle, potranno indossare i manti alla moda delle dame cristiane se mogli di banchieri, e nel XV secolo la donna diverrà il fulcro di un diritto familiare ebraico autonomo e separato. Alla luce di quanto sopra, le donne descritte, pioniere della scienza, e spesso accusate di stregoneria, sono il vero traguardo del femminismo in un contesto che dal Medioevo fino al 1800 dimenticherà le donne, seppellendole sotto il senso di colpa e il peccato.

Giusy Belfiore

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