Le campane della divisione hanno smesso di suonare?

PINK FLOYD – THE DIVISION BELL

1994

 

 

Mi sono svegliato al suono dei tamburi
La musica suonava, il sole del mattino entrava
Mi sono voltato e ti ho guardata
E tutto tranne un residuo amaro scivolò via . . . scivolò via

 

 

Ascoltare The Division Bell è come partecipare alle tristezze croniche di David Gilmour. Passati sette anni dalla pubblicazione di “A Momentary Lapse of Reason” (primo album del post-Waters) le campane della divisone e della discordia ancora continuavano a suonare insistenti. I Pink Floyd (confessando una scomoda verità storica) erano morti con quell’atto finale, “The Final Cut”, e con quel muro, eretto, bianco, che separò Roger Waters dai suoi compagni.

Dal 1987 così, nonostante la vittoria giudiziaria del marchio PF di Gilmour-Mason, tutto parve come essiccato, umiliato, compreso questo album del 1994, che non potette che essere considerato come l’ennesimo segmento di una virtuale carriera da solista di Gilmour, piuttosto che come ultima uscita della band di Cambridge.

L’album è un concept sulla nostalgia e sulla divisione, Gilmour aveva divorziato dalla moglie ed in generale la sensazione che appare contenuta nelle tracce è di una stanchezza senile.

Le due belle strumentali (Cluster One e Marooned), cariche di echi ed affidate agli assoli lunghi e new age di David, sono la realtà più significativa del disco, fungono da cemento e conservano parte (solo parte)di quelle caratteristiche floydiane soprattutto nello sviluppo delle storiche e chilometriche suite della band.

Il resto si perde un po’ e il disco, tra citazioni palesi di “Dark Side of the Moon” ed un vittimismo, a tratti disegnato a tavolino, è debole d’inventiva ed originalità.

I testi di David (a quattro mani con la nuova moglie Samson), il sassofono di Dick Perry, il ritorno di Wright in “Wearing in the Inside Out” e nella dolcezza d’un romantico pianoforte, non riuscirono a riabilitare la band di fronte agli occhi delusi di milioni di fans, attaccati ad un idea di Pink Floyd differente, spaziale, sperimentale, alla Waters, insomma.

Tra le prove più significative si registrano la delicata Poles Apart dedicata all’amico Syd Barrett ( “Non avrei mai pensato che avresti perso quella luce negli occhi” ), l’acustica Lost for words, una sorta di Wish you were here, in cui s’accenna, invece, all’amico-nemico Waters (“Così apro la porta ai miei nemici e chiedo se possiamo pulire la lavagna, ma mi dicono cortesemente di andare a farmi fottere”) ed il finale malinconico di High Hopes, canzone rappresentativa dell’album grazie alle campane che in tutte la canzone non smetteranno di suonare.

 

Quest’ultimo è il brano che chiude The Division Bell ed anche la carriera in studio dei Pink Floyd fino al momento. Molti sono in attesa.

Riccardo Marra

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