Dell’organo di consultazione presso l’assessorato competente fanno parte i rappresentanti siciliani delle organizzazioni nazionali più rappresentative della categoria, firmatarie di contratti collettivi di lavoro. Questa formuletta è contenuta in numerose leggi regionali che regolano materie riguardanti la gestione di interventi in favore delle categorie produttive presenti in Sicilia. Queste norme, che con la filosofia autonomista fanno decisamente a pugni,
sono state votate dall’organo autonomista per eccellenza, l’Assemblea regionale siciliana, in quanto organo titolato a emanare leggi in assoluta indipendenza dalla legislazione nazionale, specie in materia economica, nel rispetto dei principi costituzionali del nostro Paese.
In questo caso appare evidente che non esiste alcuna coercizione esterna nello scegliere le condizioni normative adottate, ma queste sono state assunte in piena consapevolezza dall’organo sovrano dell’Autonomia speciale. Con chi vogliamo prendercela? Qui le coercizioni dello Stato tiranno, dalla lingua biforcuta non c’entrano assolutamente. Qui siamo in pieno ascarismo espresso dalla classe dirigente della Sicilia.
Infatti, i sostenitori di questa scelta normativa, operata dalla rappresentanza istituzionale della classe dirigente siciliana, sono i rappresentanti delle categorie ‘produttive’ siciliane e cioè Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato, Cna, Cia, tutte le organizzazioni che rappresentano il movimento cooperativo, i sindacati dei lavoratori, i quali invocano lesclusività della rappresentanza sociale in quanto componenti il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel).
Non abbiamo alcuna intenzione di farla lunga su questo argomento, perché parla da solo e ci dice che i principali nemici dell’Autonomia siciliana sono in casa nostra, per la semplice ragione che costoro sanno perfettamente di non essere all’altezza di esprimere le capacità dell’autogestione. Il compito storico delle classi dirigenti siciliane è sempre stato quello di inchinarsi, cappello in mano, al potente di turno proveniente da fuori.
Finché in Sicilia non si verificherà una vera e propria palingenesi che vedrà la gente comune ribellarsi a questo stato di cose è perfettamente inutile dibattere sull’autonomia e, addirittura, sull’indipendenza. In Sicilia esiste un aggregato umano assai casuale, che non ha contezza di sé e manca del presupposto culturale per definirsi popolo.
La polverizzazione dei vari raggruppamenti sicilianisti conferma questo assunto. A loro rivolgiamo solo una sollecitazione: piuttosto che discutere di quanto è avvenuto duecento anni addietro e parlare con lo sguardo rivolto al passato remoto, si diano una mossa, mettano i piedi per terra e, semmai, dibattano su l’Autonomia in tempi di Europa unita e di globalizzazione, guardando al futuro. L’unica ricetta vincente è la produttività massiccia dell’economia che rappresenta la ricetta antimafia per eccellenza. La mafia, infatti, è presente in misura consistente nella intermediazione propria del terziario e dei servizi. Vedasi a questo proposito ciò che avviene nel sistema dei trasporti delle produzioni agricole più pregiate.
E’ veramente un’occasione sprecata veder tante intelligenze continuare a discutere se erano meglio i Borbono o piuttosto i Savoia. Se questa rilettura servisse ad individuare gli errori commessi dai siciliani per trarne insegnamento per il futuro, la discussione avrebbe un senso, perché sarebbe utile ad intraprendere un percorso consapevole verso una prospettiva positiva. Se, invece, questa discussione serve a contare quanti libri di storia ha letto l’uno a l’altro intellettuale che interviene nella discussione, di questo dibattito, ne facciamo volentieri a meno.
Nota a margine
Il fascino della democrazia – anche nella gestione di un giornale come il nostro – risiede anche nel dare spazio a chi non la pensa come noi. Noi, sulla critica alle ricostruzioni storiche – specie sulla storia della Sicilia che va dal 1860 ai nostri giorni – non la pensiamo come Riccardo Gueci. Noi, al contrario, pensiamo – con riferimento, ad esempio, agli anni subito successivi alla cosiddetta Unificazione dell’Italia – che le ricostruzioni servono, se non altro perché quelle che leggiamo ancora oggi nei libri di scuola sono n larga parte false.
Questo giornale ha lanciato una campagna – che riprenderemo il prossimo autunno – per togliere dalle piazze e dalle vie delle città e dei paesi della Sicilia i nomi dei Savoia e di tutti i delinquenti e gli assassini che, nel nome dell’Unità d’Italia, prima hanno tradito gli ideali di libertà del Risorgimento vendendo il Sud alla scalcagnata monarchia Sabauda (forse sarebbe il caso di rileggere Giuseppe Mazzini) e poi hanno massacrato le popolazioni del Mezzogiorno con la scusa della lotta al ‘brigantaggio’.
La verità è che i veri ‘briganti’ erano i generali spediti nel Sud dai piemontesi: e tenere ancora i nomi di questi delinquenti e assassini nelle vie e nelle piazze della Sicilia è un’offesa ala verità e alla memoria delle vittime di questi eccidi.
Dall’articolo di Gueci cogliamo comunque uno spunto interessante che riguarda i movimenti per il rilancio dell’Autonomia – e perché no? – dell’Indipendenza della Sicilia: tema portato alla ribalta ieri dalla Spagna.
Non è vero che viviamo in un’Europa libera. Al contrario, riamo rimasti imprigionati in un sistema monetario demenziale – l’euro – al quale abbiamo regalato la nostra sovranità monetaria. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la povertà, la miseria e la fame stanno dilagando in tante aree di un’Europa sempre meno libera e sempre più controllata da massonerie finanziarie, commerciali e forse anche di altro ‘genere’.
In questo scenario il rilancio dell’Autonomia siciliana diventa un tema strategico. Ma non ci possono essere trenta, quaranta sigle in eterne dispute sul nulla. Dobbiamo prendere esempio dalla Spagna e rilanciare i temi della libertà. Ma per farlo ci vuole unità. I protagonisti di tutte queste sigle debbono cominciare a capire che è arrivato il tempo di fare di necessità virtù.
Giulio Ambrosetti
Foto sopra:opera di Enzo patti
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