Giovanbattista Caruso e Giuseppe Sessa sono i due dipendenti condannati per falso in atto pubblico e corruzione. La vicenda è quella relativa alla compravendita di 20 esami. Per disporre o meno il loro licenziamento si dovrà attendere l'eventuale appello e la seguente nuova sentenza
Lauree false a Medicina, la reazione del rettore «Evidenziata la gravità dei reati contestati»
«L’entità delle pene nella sentenza di primo grado evidenzia la gravità sociale dei reati contestati». Così il rettore dall’università di Catania sulla sentenza che ieri ha condannato in rito abbreviato per falso in atto pubblico e corruzione i due dipendenti Giovanbattista Luigi Caruso, 51 anni, e Giuseppe Sessa, 50enne, accusati di aver venduto 20 esami del corso in Medicina. Per Caruso la pena è di sei anni e otto mesi; cinque anni e otto mesi per Sessa. Per entrambi è stata disposta l’estinzione del rapporto di lavoro.
I due dipendenti una volta decaduti i termini di custodia cautelare erano tornati a lavoro. In un’ottica di auto-tutela l’ateneo ha interrotto il provvedimento interno di sospensione, spostando i due dalle mansioni che ricoprivano in precedenza in attesa del pronunciamento della magistratura. «Pur nel rispetto della presunzione di innocenza dovuta agli imputati sino al passaggio in giudicato, l’Ateneo prende atto del dispositivo emesso dal giudice per le indagini preliminari», afferma oggi il magnifico.
Bisognerà quindi attendere un eventuale appello alla sentenza e la seguente nuova sentenza per poter disporre o meno il licenziamento di Caruso e Sessa. I due, rispettivamente ex addetto alla segreteria universitaria ed ex autista, sono accusati di aver fatto superare 19 esami del corso di laurea in Medicina a uno studente che si è laureato nel 2013 in cambio di 2500 euro e di aver registrato una sola materia per un altro suo collega.
Francesco La Ferla, il cui titolo di laurea è stato poi annullato, e Daniele Fiore hanno collaborato, ammettendo le loro colpe, e hanno chiesto accesso al patteggiamento. La vicenda è partita quando un gruppo di laureandi in Medicina ha denunciato al rettore la presenza di uno studente tra gli ammessi alla discussione della tesi che non ne avrebbe avuto titolo. Dopo una rapida indagine interna, la questione è subito finita sul tavolo degli inquirenti.
È lo stesso Pignataro che sottolinea di «avere tempestivamente operato per stroncare questo deplorevole episodio di falsificazione annullando i titoli conseguiti abusivamente, trasmettendo gli atti all’autorità giudiziaria e costituendosi per il risarcimento dei danni prodotti dal reato». La cifra richiesta per ciascuno dei dipendenti è di 50mila euro. Sul timore del ripetersi di casi del genere, il rettore assicura che «i meccanismi di verifica del sistema informatico sono tali da consentire l’individuazione delle responsabilità dei singoli operatori, garantendo in ogni momento un efficace controllo delle carriere degli studenti».