Latte, non si arresta la protesta degli allevatori «Siamo alla fame, oltre la metà di noi chiuderà»

«Ormai siamo ridotti alla fame. La crisi tocca tutti da vicino e non risparmia nessuno. Qui il latte viene venduto a 65 centesimi al litro Iva compresa, ed è una follia». Non si ferma l’ira dei pastori siciliani che ora monta anche nel Palermitano. Grazie al tam tam sui social network, ieri mattina si è svolta un’assemblea spontanea a cui hanno aderito numerosi allevatori della Valle del Torto, come racconta Giuseppe Mesi, allevatore di 34 anni di Montemaggiore Belsito. A decine, provenienti dai Comuni limitrofi, come Alia, Castronovo di Sicilia, Lercara, Cerda, Caccamo, Favara e Cammarata, si sono dati appuntamento lungo la Palermo-Agrigento, all’altezza del Borgo Manganaro. Un incontro senza gesti eclatanti, per discutere e confrontarsi sui disagi che hanno messo in ginocchio gli allevatori del territorio. 

L’iniziativa prende spunto dalla rivolta dei pastori sardi contro il prezzo del latte, poi ripresa dai colleghi delle altre province siciliane, a Poggioreale e Dittaino, e che oggi li vedrà uniti in un nuovo grande presidio a Vittoria. «Più del 60 per cento delle nostre aziende chiuderà a causa dei costi eccessivi che sosteniamo: per il latte si parla di una media di circa 58-59 centesimi al litro senza Iva», ribadisce Mesi, che l’anno scorso è stato costretto a vendere le sue pecore perché non riusciva a coprire le spese di gestione. «Compriamo il carburante a 95 centesimi – prosegue – per ricavare semina e poi cediamo il frumento a 18 centesimi a chilo, è inaccettabile. Così come il prezzo degli agnelli si è dimezzato rispetto a 2-3 anni fa». Senza dimenticare la precarietà dei collegamenti nell’entroterra con le strade provinciali ridotte a colabrodo, i relativi costi per il trasporto, la conservazione, e la concorrenza sleale da parte di produttori esteri.

Ma ad accrescere il malessere di pastori e allevatori, sono anche altri fattori. Le realtà interne siciliane sono riuscite a sopravvivere negli ultimi tempi grazie a fondi europei che, proprio negli ultimi due anni, sono stati azzerati. Si tratta dei bandi del Piano di sviluppo rurale (Psr) sospesi nell’ultimo biennio per il biologico e nell’ultimo anno per le indennità compensative a causa della «mancata disponibilità finanziaria necessaria – ha precisato nei giorni scorsi l’assessore regionale all’Agricoltura Edy Bandiera – per emettere nuovi bandi relativi al biologico e all’indennità compensativa, a causa del fatto che, già al momento del nostro insediamento, la dotazione finanziaria delle misura 11 e 13 era stata interamente impegnata dal precedente governo». 

«Non dobbiamo condannare chi ha speso queste risorse – afferma Cruciano Mesi, 37 anni, allevatore di bovini da carne di Montemaggiore – perché le risorse strutturali da tempo consentono alle aziende di essere competitive e di rimanere sul mercato. Non siamo contro il governo – puntualizza – ma si dovrebbero utilizzare tutte le somme residue e chiedere di impegnare una parte del prossimo bando per il rilancio del settore». 

Intanto, due giorni fa, si è svolto un incontro tra il governatore siciliano e gli organi di categoria, a Palazzo d’Orleans: Musumeci ha fatto sapere che «verrà data priorità, nei prossimi bandi del Psr, proprio alle micro-imprese giovanili e alle zone montane svantaggiate. A disposizione, in totale, ci sono risorse comunitarie per quasi 140 milioni di euro». Accolta anche la richiesta, lanciata dalle associazioni di categoria, di cominciare un confronto costruttivo con la Regione con l’istituzione di un tavolo tecnico. Un tavolo al quale gli allevatori vorrebbero arrivasse anche la loro voce: «La nostra speranza è che il presidente ci incontri e ci ascolti – conclude Cruciano Mesi -, in modo che la politica possa farsi portavoce delle nostre istanze anche con il governo nazionale».


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