L’atelier di giovani e migranti nei beni confiscati  A Catania apre il negozio. «Abiti cuciti coi valori»

«Chi comprerà un nostro capo di abbigliamento, in realtà, acquisterà un pacchetto di valori». È così che Gabriella Giunta dell’associazione Don Bosco 2000 presenta Beteyà, il nuovo negozio che verrà inaugurato a Catania (al civico 322 di via Etnea) il 7 dicembre. Quello etneo sarà in assoluto il primo punto vendita del progetto in cui giovani siciliani e migranti realizzano capi di abbigliamento nei beni confiscati alla mafia

«In mandingo (dialetto parlato in diverse zone dell’Africa occidentale, ndr) Beteyà significa “bello e buono“. È il nome che, tra tante proposte messe sul tavolo durante vari brainstorming, abbiamo scelto perché – spiegano a MeridioNews – crediamo che così possano essere il nostro progetto e i nostri prodotti». Pantaloni, magliette, giacche, camicie, felpe e anche asciugamano e tovaglie da tavola vengono decorati, rifiniti, arricchiti e personalizzati dai ragazzi che fanno parte del progetto. Otto in tutto, quattro siciliani ex disoccupati che arrivano da Piazza Armerina (provincia di Enna) e dal Catanese e quattro migranti provenienti da Nigeria, Mali, Senegal e Gambia

«C’è chi taglia, chi cuce, chi applica, chi è addetto alle macchine della stampa, chi starà alla vendita, chi si occupa del brand», continua Giunta. Tutto nasce da un progetto di Fondazione con il Sud che, nel febbraio del 2017, nell’ambito del bando Beni confiscati 2016 propone il progetto Sud – Arte & design con l’obiettivo di creare un progetto di sviluppo per il territorio siciliano e di sostenere la legalità in senso ampio. Il progetto viene finanziato e il retrobottega dell’atelier avviato, dopo i lavori di ristrutturazione, in un bene confiscato alla criminalità organizzata a Villarosa, in provincia di Enna, che all’associazione Don Bosco 2000 è stato dato in gestione per dieci anni. «È lì che rimane, anche adesso, il sito di produzione e il magazzino di Beteyà».

Definito il visual e il piano di marketing, inizia il corso di formazione dei giovani su macchinari, materiali, grafica, gestione di impresa, strategie di vendita e anche sul gestionale per il sito dell’e-commerce. Insomma, su tutto quello che serve per essere in grado di creare un brand e gestire un’attività commerciale. «La nostra non è nata solo per fare business. L’idea – sottolineano – è vestire la gente per la vita di tutti i giorni veicolando i valori attorno ai quali ruota tutto il nostro progetto: legalità, integrazione, eticità e sostenibilità. Un abito Beteyà racconta della cultura delle migrazioni ed è ideato come esempio di incontro di culture. Indossarlo significa portare addosso anche tutto questo». 

Marta Silvestre

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