L’arte e i videogame: soggettività in rapporto con l’esterno

In questi giorni ho deciso di cominciare una riflessione sui cosiddetti
videogiochi o videgame. Una specie di “teoria”, la cui prima parte, anzi il
Tutorial e Primo Livello, è già leggibile su www.postcontemporanea.it.

Di che si tratta? Può sembrare strano chiederlo, visto che i cosiddetti
videogiochi sono qualcosa che apparentemente tutti conoscono. Ma sapete bene che non è affatto così. Ad esempio, un’analisi anche sommaria mostra che un elemento essenziale della questione è che la novità estetica dei videogame è legata, prima ancora che all’esperienza che essi propongono, al diverso modo di sperimentarla. Al punto che talvolta sembra di poter supporre che ci trovi di fronte ad una dislocazione e moltiplicazione elettronica della personalità.

Chiunque si sia interessato di Videoarte e Computerarte, e più in genere di comunicazione, sociologia, storia dei nuovi media, ecc., non può che essere estremamente incuriosito dalle interfacce fra videogame ed attività artistica. Da un certo punto di vista, si ha la sensazione di trovarsi dinanzi ad una nuova frontiera della percezione estetica e dell’attività artistica. È un modo “postcontemporaneo” di “essere nel mondo come se si fosse in un altro mondo”: un’esperienza simile (e però più estrema) a quella descritta negli anni Trenta da Walter Benjamin come “percezione nella distrazione”. La questione è in primo luogo relativa al rapporto che si instaura fra la Soggettività ed un esterno (come quello a cui “ci si affaccia” tramite il contatto digitale) dotato di qualità parzialmente differenti rispetto a quelle che caratterizzavano l’esterno pre-informatico: parlo di peculiarità come la velocità, colore/suono, overload di dati, ecc.

Sarebbe davvero il caso di studiare l’esperienza del videogiocatore,
raccordandola anche ad un elemento assai rilevante: l’età. Cosa cambia,
nell’esperienza del videogiocatore, se questi ha 10 o 14 anni, 18 o 24, ecc. ?

Tuttavia non è facile trovare analisi interessanti, visto anche il bassissimo profilo culturale che molto spesso caratterizza gli interventi di chi si occupa dei cosiddetti videogiochi, e visto il sostanziale disprezzo verso questo nuovo medium che ancora è diffuso negli ambienti accademici. Una situazione del resto molto simile a quanto avveniva nei confronti del mondo dei cartoon fino all’inizio degli anni Settanta (per intenderci, prima che il prestigio di Eco e di altri autorevoli studiosi “sdoganasse” il fumetto).

E insomma, vi propongo un dibattito serio su questo argomento in apparenza così futile.

Ciao.

Giuseppe Frazzetto


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