“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità” è la scritta che apparve anni fa su tutte le saracinesche dei negozi palermitani. Con questa frase Tano Grasso – responsabile della Federazione delle associazioni antiracket – durante un incontro-dibattito in occasione del “Minimondi Festival” ha voluto ricordare un’iniziativa e con essa sottolineare quanto sia importante ribellarsi, non mettendo la testa sotto la sabbia, trovare la formula giusta con cui dire “no” agli estorsori e sentire la vicinanza delle persone che vogliono lottare insieme. Si rivolge ai più grandi, cioè gli insegnanti e altri presenti nell’aula magna della scuola Pizzigoni: “Voi la ricordate di sicuro, questa iniziativa di alcuni ragazzi universitari palermitani che decisero che una mattina Palermo si sarebbe dovuta svegliare e trovare questo pensiero su cui riflettere”.
Tano Grasso è nato nel 1958 a Capo d’Orlando e dopo essersi laureato in Filosofia a Firenze, ritorna in Sicilia per impiantare nel suo paese natale l’attività di commerciante di scarpe. Seguono anni in cui gli attentati diventano sempre più frequenti, muore Falcone. E negli anni novanta Grasso presiede l’associazione antiracket dei commercianti orlandini, svolge attività politica a livello nazionale ed è il primo firmatario della proposta di legge contro l’usura.
Grasso durante il suo incontro-lezione dedica riflessioni alla problematica dell’usura e del racket, e si concentra sul fenomeno mafioso in generale e sulle sue diverse sfaccettature. Grasso dice sempre a chi si trova in cattive acque: “Affidatevi all’associazione antiracket perché il mafioso colpisce chi è solo, non chi ha cercato sostegno e fa parte di un gruppo”.
Poi si rivolge ai più piccoli: “Voi dovete sapere e capire che la nostra storia – della Sicilia e non solo – si basa su questi e altri fatti e che il nostro presente è strettamente connesso al passato; voi ragazzi che siete il nostro futuro dovete aiutarci a combattere questi mostri nati nel passato”. “Queste organizzazioni criminali sono nate più o meno con l’Unità d’Italia?” – interviene un alunno, Emanuele, chiedendo conferma a Grasso. “Sì, più o meno – risponde Grasso – e da allora nessuno si era mai permesso di dire no alla mafia o meglio alle mafie; qualche arresto ogni tanto, poi però i boss venivano lasciati di nuovo a piede libero. Fino al maxi-processo del gennaio 1992 che ha fatto arrestare per condanna definitiva un centinaio di persone: il magistrato Giovanni Falcone fece un buon lavoro e infatti il 23 maggio di sedici anni fa venne assassinato”. Racconta, semplificando le notizie e catturando l’attenzione dei ragazzi che lo ascoltano senza fiatare tranne che per intervenire. “E noi che possiamo fare se la mentalità che c’è qui è di pagare il pizzo?” dicono quasi in coro Alessio ed Aurora. “Voi nel vostro piccolo tanto per iniziare potreste non andare più a comprare vestiti, scarpe – risponde Grasso – in negozi i cui proprietari pagano il pizzo e vale lo stesso discorso per ristoranti e qualsiasi altro tipo di esercizio commerciale. Così non alimentiamo, anche se indirettamente, la mafia”. “E come facciamo a sapere quali sono?” ribatte Alessio. “Io vi posso dire chi non lo paga di sicuro – risponde compiaciuto il responsabile della Fai – e andate sul nostro sito a controllare chi ha aderito”.
Sempre in modo divertente, simulando un’aula di tribunale con avvocati, giudici, colpevoli e vittime, Grasso racconta “gli eventi” e consiglia cosa è giusto fare e cosa non lo è. Cerca di far capire ai bambini che “il codice su cui si basa il mafioso non è «d’onore» come si vuol far credere, anzi tutt’altro. Il mafioso giustifica l’estorsione instillando nella gente l’idea di protezione. Poi se non ci riesce passa agli atti intimidatori e la gente vuole credere, sempre per giustificare, che si tratti di un servizio di protezione”.
Grasso dunque, in un giorno di memoria, ha provato a insegnare cosa sia la legalità ai bambini, con esempi facili e concreti. E agli studenti universitari cosa ci sarebbe da dire? “L’Università a Catania, o nel sud in genere dovrebbe essere organizzata in modo diverso, rispetto all’università di Torino o altrove perché qui il luogo della ricerca e della conoscenza non può prescindere dall’esistenza di un fenomeno mafioso. E su questo fenomeno io penso che ci sarebbe bisogno di rafforzare, sotto il profilo scientifico, lo studio e la ricerca, sulle sue dinamiche e soprattutto sulle ripercussioni che ha nei confronti dell’economia. E non uno studio considerato come tale solo in determinati momenti o occasioni: per la tesi, per i cineforum o le conferenze. Chi meglio e più dell’università dovrebbe poter fare questo? Cioè capire, aiutare a capire, essere di ausilio, sempre. Mi rendo conto che questo è un limite delle università. L’altro punto è che gli studenti, dentro l’università, dovrebbero costituire un livello di partecipazione politica che individui nella lotta alla mafia un aspetto importante della propria identità. Sì ai seminari, dibattiti, momenti di incontro per parlarne e per rendere omaggio alla memoria, ma poi è necessario rendersi parte attiva con iniziative, le più concrete e continue possibile”. E Grasso continua: “Siamo qui a parlarne, ma non solo oggi, perchè è un lavoro da fare costantemente e dappertutto. Solo informando e spronando le persone affrontiamo la mafia a viso scoperto e possiamo eliminare questa scimmia dalle nostre spalle”. “E ci riusciremo davvero?” accenna un bambino. Grasso gli chiede: “Ma mi vo’ pigghiari pi fissa?” – provocando le risate di tutti – poi conclude “sì, ci riusciremo ma soltanto se elimineremo questa mentalità di assoggettamento e di pessimismo”.
Contatti utili: www.antiracket.it ; tel. 081.552.80.90 ; cell. 337-957171
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