Prima di iniziare l’anno nuovo la politica regionale deve ancora chiudere i conti con il vecchio. Lo farà a breve, all’Ars sono tutti d’accordo ed è stato un accordo sudato, l’otto gennaio la Finanziaria avrà un voto e sarà un voto positivo. Intanto ci sarà battaglia sugli articoli, sfida anche questa abbastanza scontata, visto l’accordo […]
L’anno che verrà per la Regione, tra l’ombra del ponte e un nuovo spettro di mancette in Finanziaria
Prima di iniziare l’anno nuovo la politica regionale deve ancora chiudere i conti con il vecchio. Lo farà a breve, all’Ars sono tutti d’accordo ed è stato un accordo sudato, l’otto gennaio la Finanziaria avrà un voto e sarà un voto positivo. Intanto ci sarà battaglia sugli articoli, sfida anche questa abbastanza scontata, visto l’accordo tacito che prevede di evitare il ricorso al voto segreto, habitat naturale dei franchi tiratori, che pure negli ultimi giorni del 2023 hanno provato a farsi sentire, ma che spaventati dal voto palese, hanno preferito rinunciare agli scherzi di fine anno. Scherzi che in tanti erano pronti a fare specie sul voto dell’articolo quattro della Finanziaria, quello che tratta dei finanziamenti ai Comuni.
Lì la discussione si è arenata per ore su un pacchetto da tre milioni di euro, un’inezia se si pensa alla mole di una manovra, un’enormità se si guardano invece come alle prossime potenziali mancette elargite dal governo. Sì, perché questi tre milioni di euro dovevano – e saranno, visto che l’articolo è stato approvato con larga maggioranza – finire nelle disponibilità dell’assessorato alle Autonomie Locali, sotto il controllo di Andrea Messina, che avrebbe scelto quanto assegnare a chi tra i Comuni che avrebbero partecipato a un bando che suona piuttosto come una supercazzola, giusto per concedersi una citazione cinematografica: richiesti per progetti riguardanti una fantomatica «coesione sociale territoriale», frase che significa tutto e niente e distribuiti in base alla densità demografica.
Tante le reazioni avverse all’articolo. «Sindaci siciliani ribellatevi, davanti a questi fatti dovete avere il coraggio di non andare a elemosinare queste elargizioni dentro agli assessorati. La troppa discrezionalità data alla politica crea delle risacche. Che schifo, vergogna» dice Ismaele La Vardera – Sud chiama Nord -. «Questa norma era una schifezza ed è rimasta una schifezza. Non fa pena come quando è stata scritta, quando sembrava un bancomat, ma è sintomo di un malessere di partiti di maggioranza» aggiunge Antonio De Luca, capogruppo del Movimento 5 stelle, che rivela: «Ci sono le processioni dei deputati di maggioranza che vengono da me e dai colleghi dell’opposizione per pregarci di chiedere il voto segreto. Vi state scannando per quattro spiccioli». E mentre Nello Dipasquale – Pd – non si fa troppi problemi a parlare di clientelismo, anche tra la maggioranza c’è chi esce allo scoperto.
È il caso di due veterane, la prima è Giusi Savarino, Fratelli d’Italia e fedelissima di Nello Musumeci, che in Aula aveva dichiarato: «Sono un deputato di maggioranza e seguo le indicazioni di maggioranza, ma ho sempre ritenuto e dichiarato di essere contraria a questa formulazione. Non c’è un retropensiero rispetto all’assessore Messina, ma trovo sbagliata questa ingerenza tra assessorati. Ritengo che questa sia come norma di principio assolutamente un errore. Ho alle spalle quattro legislature e non ho visto mai niente del genere, mantengo i ranghi, ma per esperienza non posso votare». A ruota anche la collega di Forza Italia Margherita La Rocca Ruvolo: «Per la prima volta in 11 anni mi trovo a dovere votare una norma di questa natura. Nulla da dire contro l’assessore Messina, ma la coesione sociale ribadita nell’articolo quattro è una affermazione vaga e non dice assolutamente nulla. È la prima volta che i comuni poco simpatici dopo anni si ritrovano a essere redarguiti se la risposta alle interrogazioni fatte nei consigli comunali arrivano con 31 giorni di ritardo».
Ma alla fine tutto si risolverà con qualche stretta di mano e poco più, mentre anche a Finanziaria approvata, bisognerà capire dove raccattare i fondi che saranno sottratti alla Sicilia, sacrificati per finanziare una piccola parte della realizzazione del ponte sullo Stretto. Fondi, quelli tolti dal fondo sviluppo e coesione, che mancheranno a infrastrutture, ciclo dei rifiuti e molti altri capitoli nei prossimi sei anni. Con una Finanziaria che poco spazio lascia agli investimenti, il rischio di restare fermi al palo quanto meno per tutta la legislatura è veramente alto. E diventerebbe ancora più fallimentare l’impresa che nel 2024 appena iniziato non partissero davvero – come promesso a più e più riprese – proprio i lavori del ponte. Allora sì che il governo Schifani e la sua maggioranza dovrebbero dare più di una spiegazione ai siciliani.