Lampedusa, va in scena l’Italia che non si vede

Titolo: Lampedusa è uno spiffero!
Autore e regia: Fabio Monti e Norma Angelini
Video: Norma Angelini
Luci: Michele Fazio
Interpreti: Fabio Monti
Produzione: EmmeA’ Teatro
 

 
Peccato che un’opera tanto travolgente non sia fruibile da un pubblico altrettanto vasto. Nelle passate sere, il Teatro del Canovaccio ha ospitato nella sua graziosa saletta lo spettacolo ospite “Lampedusa è uno spiffero”, portato da EmmeA’ Teatro, compagnia siculo-toscana con residenza ad Arezzo. Sodalizio brillantemente esemplificato dalla coppia di coetanei autori di questo testo: la toscana scenografa, costumista e videoartista Norma Angelini e l’autore, regista  e attore catanese Fabio Monti.
 
Quando ancora qualche persona in sala si sta accomodando, lui sussurra alla sua lei se ha preso le chiavi, l’altro toglie la suoneria al cellulare, ecco arrivare un uomo con jeans e maglietta scura marchiata da un rosso vulcano Etna, che si avvicina ad Angelo chiedendogli da dove viene e raccontandogli un po’ di sé, passa ad un altro ospite e poi ad un altro ancora. Fino a che il sospetto che lo spettacolo abbia già preso l’avvio si fa sempre più presente. Fabio Monti decide di iniziare come un semplice intrattenitore del pubblico in sala, a luci ancora accesissime.
 
Il poliedrico e convincente attore è in primis un milanese polentone, poi impersona le diverse testimonianze rilasciategli dai lampedusani che ha avuto modo di conoscere ed intervistare nella fase di preparazione del testo, ancora la signorotta palermitana ed il leghista incallito. In un monologo veemente, sagace e al giusto ritmo divertente, mette sul palco da queste diverse prospettive i numerosissimi problemi che si affastellano in un ristrettissimo lembo di terra, di 3 chilometri per 15 di lunghezza: l’abusivismo, i centri di sicurezza, le autorizzazioni per la pesca, la disoccupazione, l’immigrazione clandestina. E in tutto questo, ci si chiede: ma unna a statu u statu?!
 
Forse troppo impegnato negli affari dello stivale per potersi ricordare che laggiù, più in basso della Tunisia, si estende un puntino chiamato Lampedusa che risponde ancora al nome di Italia. Un’isola che non è nemmeno conteggiata tra le regioni italiane e che non viene visualizzata nelle televisioni nazionali per esempio durante le previsioni meteorologiche. Beh, a meno che non vi sia l’ennesima ondata di immigrati ad affollare il CPT. E a guastare l’immagine turistica di questa deliziosa terra. “Bisogna ringraziare Gheddafi se Lampedusa è stata notata quando nel 1986 ha lanciato una bomba!”.  
 
“La forza di Lampedusa è di essere una Sicilia concentrata, così come la Sicilia è un’Italia concentrata. È dunque la forza di essere divenuta un simbolo universale, la Porta d’Europa, come mi piace chiamarla” dichiara il regista. Gli autori decidono quindi di prendere spunto da questa realtà dimenticata (se non per gli ordinari fatti di cronaca) per sparare colpi duri da un lato sul rovinoso sistema politico italiano, ad un mese dalle elezioni, ma anche sullo stesso popolo cieco e chiuso, devoto ai nuovi mostri creati dai reality televisivi e da una società in cui i paradossi sono all’ordine del giorno.
 
Un forte e violento contrasto ai discorsi riferiti con apparente leggerezza dal protagonista è creato dalle immagini dei video di Norma Angelini, magnificamente intercalati nel monologo. E il risultato è presto ottenuto: conferire maggiore veemenza alla valanga di parole, che toccano e commuovono il pubblico. Come la sorte di quelle anime nere che affrontano un viaggio senza speranza alla ricerca della felicità, di una vita migliore, da sempre agognata lì nelle loro savane e jungle selvagge e quasi mai raggiunta. Non importa da quale stato essi provengano, per noi sono accomunati tutti dallo stesso clan. Clan-destino.


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