Lampedusa, quella porta d’Europa mai stata chiusa Le 368 vittime ricordate nell’assenza delle istituzioni

A cinque anni dalla strage degli eritrei, l’isola torna a fermarsi un giorno per commemorare le 368 vittime del naufragio e a interrogarsi sul tema delle migrazioni. È una commemorazione sui generis, quella in corso a Lampedusa nella Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, dove per la prima volta sono completamente assenti i rappresentanti del governo nazionale. Di più, anche il Miur, che tradizionalmente ha promosso in questi anni un concorso rivolto agli studenti proprio sul tema dei migranti, quest’anno non ha sponsorizzato alcuna iniziativa. I ragazzi alla fine hanno comunque prodotto i loro lavori (prevalentemente temi e saggi brevi), ma senza alcuna sollecitazione da parte del Ministero.

Se le prime due giornate commemorative si sono tenute negli istituti scolastici lampedusani, quello di oggi è il giorno della Porta d’Europa. Proprio lì, nel pomeriggio, si terrà la tavola rotonda sulle identità migranti, nel corso della quale interverranno il sindaco dell’isola, Salvatore Martello, don Luca Camilleri, dell’arcidiocesi di Agrigento, insieme alle tante testimonianze di Medici Senza Frontiere, Unhcr, nonché dello stesso Comitato 3 ottobre, promotore dell’iniziativa. E se già questa mattina a fare il punto, ricordando come in realtà gli sbarchi non si siano mai fermati, è stato il primo cittadino di Lampedusa, è il docente di Sociologia dei territori all’Università di Catania, Carlo Colloca, a sottolineare come, anche solo metaforicamente, quella Porta d’Europa non sia mai stata chiusa. «Alcuni esponenti del governo, insieme a una parte dei media, tendono a dare una narrazione sfocata, come se con la Diciotti fosse tutto finito e gli sbarchi si fossero fermati» spiega l’esperto. 

Colloca, negli ultimi due anni, ha promosso la Summer School di Sociologia del Territorio proprio a Lampedusa. «Soltanto in quei dieci giorni in cui sono rimasto sull’isola sono sbarcate oltre 300 persone – prosegue -. Si tratta di microsbarchi su imbarcazioni piccole e di fortuna. La rotta è quella tunisina, ma alcune provengono anche dalla Libia. Nelle ultime 48 ore, ad esempio, ne sono arrivati una sessantina. Spesso si tratta di imbarcazioni che finiscono il carburante poco al largo delle coste, così è proprio la nostra guardia costiera che continua a portarli in salvo. Succede – aggiunge – anche che arrivino in autonomia fino alla spiaggia, dove ad accoglierli sono stati spesso i turisti».

Ma la Summer School – promossa dall’Università di Catania in collaborazione con Unicef, Treccani e Anci – è stata anche l’occasione per guardare all’isola e alla sua comunità oggi, oltre il clamore mediatico, provando ad affrontare i temi che stanno a cuore agli isolani, dalla gestione dei rifiuti, fino al tema dello spopolamento e agli spazi pubblici. E se il progetto il prossimo anno approderà in Sardegna (si tratta di una iniziativa itinerante), ecco che l’amministrazione comunale e l’Ateneo etneo stanno immaginando un percorso che nel medio e lungo periodo possa portare a un centro di ricerca proprio sull’isola, che ruoti verosimilmente attorno ai temi dei diritti, ma anche della biologia marina. Un modo per restare in contatto con l’isola e per promuovere anche nuove forme di economia in quel pezzo di terra in mezzo al mare che, nel silenzio delle istituzioni, continua ad essere la prima porta d’Europa, che è sempre rimasta aperta.


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