Lampedusa e la strage dei migranti, il ricordo di Sicurella «Quella notte che i cadaveri sembravano non finire mai»

«Non importa a nessuno, noi piccoli umani, che il freddo ti taglia le ossa, si muore davvero, si vive davvero. E poi le barche distratte, i pesci ci mangiano vivi le scarpe, il silenzio ci chiama. E tutti al lavoro si scende giù al molo». Sono i versi di una delle sue canzoni dal titolo Qui il cielo è strauss che parla della sua lunga esperienza a Lampedusa. Nel 2012 scelse di lavorare nell’equipe sanitaria come infermiere, per avere un forte contatto umano e per desiderio di ascoltare le tante storie di chi arrivava dal mare. Angelo Sicurella è uno degli astri della musica elettronica palermitana, musicista sensibile che ha scelto di non stare a guardare l’esodo ma di scendere sul campo e dare una mano quando la piccola isola al centro del Mediterraneo fu presa d’assalto dai continui sbarchi. Questa esperienza lo ha segnato profondamente e anche i testi dei suoi brani sono fortemente contaminati da quello che i suoi occhi hanno visto, le sue orecchie hanno sentito e le sue mani hanno toccato. Qualche anno prima di scegliere di andare a Lampedusa aveva fatto un corso come infermiere così non ha avuto problemi a fare richiesta per lavorare sotto il sole cocente quasi africano e dentro il centro d’accoglienza.

«Andavo a Lampedusa per una settimana con turni di 24 ore – racconta – Il primo impatto nel 2012 con il centro d’accoglienza è stato allucinante, quello è un non luogo che accoglie non persone, ma ero in una condizione propulsiva, sentivo che quello era il centro del mondo, un catalizzatore di energia. Quando impazzivo perché ero stanco e stressato andavo al centro d’accoglienza a parlare con quella gente che arriva dal mare, e mi sembrava di capire il senso della vita. La velocità delle relazioni e delle emozioni che nascono là dentro è assurda. È una botta di vita, vorrei tornarci ma per adesso non si può, dopo che hanno dato fuoco al centro per l’ennesima volta. E poi non arrivano più tanti sbarchi con le nuove leggi. Adesso vorrei fare l’esperienza in mare, andare con qualche Ong a salvare vite sul Mediterraneo».

Orfani per desiderio è il suo album, uscito prima dell’ultimo Yuki O, e che più di tutti esprime la sua esperienza a Lampedusa: «Quando scrivevo i primi pezzi per Orfani per desiderio ci andavo una volta al mese – spiega Sicurella -, per una questione di vita e per piacere nel fare una cosa utile, ho accumulato un sacco di cose, di storie, di racconti di solidarietà e tanta violenza». La notte che verrà poi ricordata come il naufragio di Lampedusa, il 3 ottobre 2013, Sicurella si trovava sull’isola: «Fu il massacro, dopo 32 ore di veglia perché il centro era in sovraffollamento e io non ce la facevo ad andare a dormire arrivarono le prime confuse notizie di qualcosa di terribile che stava arrivando dal mare, ma non avevamo idea di cosa stesse accadendo», quel giorno arrivarono 470 morti a Lampedusa.

«Quando siamo arrivati al molo Favarolo aspettavamo questa nave ma non sapevamo cosa stesse accadendo – continua – Nel frattempo sono arrivati quelli che avevano più esperienze di noi. Ci destabilizzò questa presenza dei veterani, tutte le navi erano fuori. A un certo punto arrivò questa che sembrava un’imbarcazione greca, con i primi 40 uomini a bordo sopravvissuti con gli occhi completamente dispersi. Abbiamo iniziato a correre ‘come i pazzi’, mi sono preso tre persone in braccio e ho scoperto di avere una forza che non credevo di avere. Ho parlato con Bartolo, ci siamo organizzati tra quelli che si doveva portare in ospedale e quelli che dovevamo portarci noi, li abbiamo caricati in ambulanza a sei a sei. In tutto ne sono arrivati vivi 155, c’era una puzza di nafta nel corridoio e nell’infermeria che era devastante. Poi c’erano i cadaveri che sembravano non finire mai, ho visto bambini piccoli morti, con la schiuma alla bocca. Ad un certo punto dissi a Bartolo che preferivo andare in infermeria piuttosto che imbustare i corpi. Non ce la facevo più, mi era presa una specie di schizofrenia: mentre scavalcavo morti, costato dopo costato, quasi mi sembrava che qualcuno respirasse ancora e prendevo il polso in continuazione, ma nessuno era vivo. Quando sono tornato a Palermo sono andato dritto in campagna e non ho parlato con nessun essere umano per 15 giorni, stavo con gli alberi e gli animali per rimettere il cervello sui binari giusti – conclude –  lì ho finito il disco Orfani per desiderio».


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