Lago di Ogliastro, 550mila euro restituiti all’Europa Salta l’impianto futuristico per colpa della burocrazia

Quei soldi sarebbero dovuti servire per un allevamento di pesci che avrebbe trasformato il lago di Ogliastro, al confine tra i Comuni di Catania ed Enna, in un bacino dedicato anche alla pesca sportiva. Invece, i 550mila euro di finanziamento vinti dalla società cooperativa etnea Jonicoop sono tornati al mittente, l’Unione europea. Perché i lavori che avrebbero dovuto trasformare un invaso artificiale in un’attrazione turistica non sono mai iniziati. Nel frattempo il termine ultimo per avviare le attività è scaduto e, con esso, la possibilità di usare i fondi comunitari. È saltato l’allevamento di black bass – il pregiato persico trota – e sono saltati anche i 12 posti di lavoro che la Jonicoop avrebbe dovuto creare. «Sarebbero stati giovani biologi, soprattutto, ma anche personale non specializzato. Quello dell’allevamento ittico è un settore che funziona e cresce dell’otto per cento ogni anno nel mondo», racconta Arturo Mannino, uno dei soci della cooperativa. «Ad averci fermati è stato il Consorzio di bonifica 7 di Caltagirone, che sono i gestori del lago, della diga e degli impianti idraulici. Sono gli unici a operare nel territorio del lago – spiega Mannino – Loro prima ci hanno dato il nulla osta e poi hanno fatto una sequela di obiezioni a nostro avviso pretestuose. Abbiamo tentato di cominciare per due anni, finché non era ormai troppo tardi». «Noi ci siamo limitati a chiedere l’opinione della direzione Dighe del ministero per le Infrastrutture. Senza il loro parere, se qualcosa fosse andato storto, la responsabilità sarebbe stata la nostra», replica Fabio Bizzini, presidente del Consorzio di bonifica calatino. A dirimere la questione penserà la magistratura. «Crediamo di aver subito un abuso di ufficio, abbiamo presentato una denuncia», spiega Carmelo Sardella, l’avvocato del Codacons, l’associazione dei consumatori alla quale la Jonicoop si è rivolta per chiedere sostegno.

È iniziato tutto nel 2008, quando la cooperativa Jonicoop ha elaborato quello che definisce «un innovativo progetto per lo sviluppo delle acque interne siciliane». «E innovativo lo è davvero – precisa Arturo Mannino, giovane biologo della cooperativa – Volevamo fare acquacoltura, pesca sportiva, ma anche ristorazione a chilometro zero, noleggio di imbarcazioni e case galleggianti. Ci sarebbe piaciuto rendere il lago un posto in cui poter fare accoglienza turistica, contemporaneamente studiando e analizzando i metodi di allevamento del black bass, una specie alloctona ma altrove molto apprezzata». Il lago di Ogliastro sarebbe stato il luogo perfetto. È così che la Jonicoop continua a studiare e, nel 2009, chiede e ottiene dal Consorzio di bonifica la «concessione ventennale per l’utilizzo di aree spondali e dello specchio acqueo». Concessione vincolata all’ottenimento delle «autorizzazioni degli enti competenti». Passano gli anni, lo studio del piano di sviluppo di quella porzione di territorio va avanti e, il 18 settembre 2012 il fondo europeo per la Pesca accorda alla Jonicoop un finanziamento di 330mila euro per la realizzazione di tutte quelle opere di cui sopra, per un valore complessivo di 550mila euro. Era un successo, ma era anche l’inizio di una lunga sequenza di rimpalli e rimbalzi.

Da una parte la Jonicoop che vuole iniziare i lavori a novembre 2012, dall’altra il Consorzio che chiede certificazioni e autorizzazioni. Queste ultime arrivano a gennaio 2013, ma il Consorzio risponde a maggio dello stesso anno: quei documenti non bastano, ne servono altri. Che arrivano. Passano così giugno, luglio e agosto 2013. Al termine dell’estate di due anni fa, il Consorzio di bonifica 7 gira il progetto della Jonicoop agli uffici palermitani del ministero delle Infrastrutture. Il quale ufficio, a sua volta, invia il materiale alla sede di Roma. È dicembre 2013 e ancora la Jonicoop nel lago di Ogliastro non ci ha messo piede. Quando il ministero si pronuncia è il 16 dell’ultimo mese dell’anno: il progetto non va bene, deve essere modificato, dicono i tecnici del governo, ma non è compito loro stabilire se i lavori possono iniziare oppure no. Serve, scrivono, «un esplicito pronunziamento dell’ente gestore dell’invaso». Cioè il Consorzio di bonifica di Caltagirone. A fine dicembre, la Jonicoop chiede al Consorzio quali modifiche avrebbe dovuto eseguire, ma il Consorzio non risponde. È maggio 2014 quando la cooperativa finisce di riscrivere il documento, tentando di rispondere alle osservazioni ministeriali. A giugno, quello stesso lavoro viene girato nuovamente al ministero che risponde a settembre: nulla da obiettare.

«Credevamo che, a quel punto, saremmo finalmente potuti partire», ricorda Arturo Mannino. «Già a luglio, in attesa della risposta del ministero, avevamo mandato al Consorzio una proposta di convenzione per accelerare i tempi, ma loro non hanno risposto». Così arriva il 15 ottobre 2014, limite ultimo per iniziare i lavori e non perdere i 330mila euro di finanziamento europeo. «Una decina di giorni dopo quella data, il Consorzio ci convoca per discutere della convenzione: ci hanno chiesto diecimila euro annui da versare a mo’ di contributo. Noi li abbiamo incontrati, speravamo in una proroga della scadenza, ma non è mai arrivata». A essere arrivata, invece, è la lettera con la quale si ufficializza che l’accesso al fondo è andato perso. «È successo proprio pochi giorni fa, ci siamo rivolti al Codacons perché ormai tutto è perduto», conclude Mannino. 

«Noi non siamo gli artefici di un disastro burocratico», si difende Fabio Bizzini, presidente del Consorzio di bonifica. «In realtà, da quando loro hanno presentato il progetto a quando poi hanno ricevuto il finanziamento molte cose sono cambiate: la diga è arrivata a livello zero, le nostre acque vengono usate per l’irrigazione. Inoltre, gestiamo un impianto importantissimo ed enorme, con tutte le questioni di sicurezza che questo comporta». Insomma, fare un progetto al suo interno non è una cosa semplice. «Già nel 2012 le condizioni dell’invaso non erano più ottimali per l’itticoltura e ciononostante noi ci siamo impegnati al massimo affinché il progetto della Jonicoop andasse avanti – continua – Io per primo mi sono impegnato per inviare i documenti al ministero. Certo, poi se loro hanno dato il via libera definitivo solo alla fine del 2014 non è colpa nostra». Lui delle scadenze del fondo Fep era a conoscenza: «Sì, ce lo avevano detto, ma io non ero il diretto responsabile. L’ufficio tecnico delle Dighe è l’unico organismo di vigilanza. Noi siamo solo i gestori dell’invaso. Se avessimo accettato di far iniziare i lavori senza il parere ministeriale la distribuzione delle responsabilità non sarebbe stata equa. Io autorizzo solo le cose che sono passate prima per l’ufficio tecnico. Qualunque avvenimento, altrimenti, avrebbe pesato sulle mie spalle». A suo avviso, comunque, «il progetto era complicato». In merito al presunto ostruzionismo, poi, Bizzini liquida la questione: «Teorie complottiste. Noi gestiamo un impianto che non è nostro, bensì di competenza della Regione. Non siamo privati cittadini, non ci guadagniamo niente. Cerchiamo di fare del nostro meglio». 

«Certo, siamo molto dispiaciuti che il finanziamento sia andato perduto – conclude Fabio Bizzini – Ma speriamo almeno che si attiri l’attenzione sul problema delle dighe: la Regione finanzia con due milioni di euro le 40 dighe nel territorio siciliano. Solo quella di Ogliastro, che per la verità si chiama diga Don Sturzo, costa 400mila euro l’anno.  E non servono solo per allevarci pesci, servono soprattutto per l’agricoltura siciliana». 

Luisa Santangelo

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