La vitalità della parola

IN QUESTO TEMPO DI CULTURA GLOBALE, DI ECONOMIA GLOBALE, DI POLITICA GLOBALE, IN CHE COSA CONSISTE L’UMANITA’ DELL’UOMO?

di Rossella Cerniglia 

In un mondo sempre più assediato dal rumore, in cui la parola, sempre più abusata, violentata, fraintesa, è divenuta chiacchiera, porsi il problema della sua vitalità è cosa determinante per l’identità stessa dell’uomo in quanto tale.

Parola è, infatti, pensiero, e tramite per cui ciò che è proprio del soggetto entra in connubio con l’oggetto, con l’altro, con la realtà che da sempre l’io fronteggia.

La parola – come dicevano i Sofisti – è divina, perché come un dio può creare e distruggere universi. Essa lega il nostro mondo interiore, la nostra individualità, a ciò che è altro da noi, la parola è sintesi vivente, microcosmo umano che riflette il macrocosmo del Verbo divino, piccola verità che si rapporta alla assoluta Verità di Dio. È il tramite di una sintesi universale, della “reductio ad Unum” della realtà stessa: crea comunione e circolarità di intenti che pone il tutto in intima connessione con la trascendenza.

Ma i tempi in cui viviamo sono quelli di una parola abusata dalla massificazione culturale, e come tale svuotata di autentico significato. La parola della contemporaneità è quella che serve il sistema, ne traduce scelte e ideologia, è diventata stereotipo e luogo comune, e l’uomo che di essa si serve è divenuto schiavo, s’è svuotato di umanità, ha l’anima del burattino fatta di fili che lo muovono a sua insaputa.

Mi interrogo su come sia ancora possibile, in questa attuale temperie, in questo clima di finta democrazia, di finta pluralità, in cui tutto si decide ai vertici, lontano da noi, in cui ci vengono fornite le coordinate per pensare come si vuole che tutti pensino, in questo tempo di uniformità rassegnata, in cui i grandi della terra si adergono sulle plebi per plagiarne i pensieri e l’anima, in questo tempo di pensiero globale, di cultura globale, oltre che di economia globale e politica globale, mi chiedo in che consista l’umanità dell’uomo, l’umanità che si esprime attraverso la parola.

Dov’è l’individualità, il microcosmo che ha un valore altrettanto assoluto rispetto al macrocosmo, perché altrettanto unico?

Nel nostro tempo si vuole che tutto cambi, e cambi in fretta, e niente rimanga. In questo mondo consumato dalla fretta, dove tutto appare presto frusto e logoro, anche le idee scorrono via veloci, nulla è pensato per restare; ogni cosa viene fagocitata in fretta, in fretta risputata perché il nuovo incalza. Non esistono più valori permanenti, di riferimento. Non c’è àncora per il proprio essere e la propria vita. E in questa fiumana scorre tutto ciò che non ha forza di restare. Talvolta qualcosa che avrebbe ragione di resistere è portato via con i fiumi di liquami e spazzatura che sommergono il nostro benessere e la nostra voracità di consumatori di beni materiali e immateriali.

Come si può definire, dunque, la vitalità della parola? Come può essere definita entro questa corrente che dilaga e spazza via le ragioni di ogni cosa?

È davvero problematico, nel nostro tempo. È impresa titanica rimanere ancorati a significati e idee, a sentimenti che franano da ogni parte dentro e fuori di noi. Persino quando la neoavanguardia ha tentato di interrompere questo circolo vizioso, eludendo i canoni tradizionali di un linguaggio, ormai sconvolto e irregimentato, in realtà, ha perseguito le stesse linee programmatiche del sistema, che proclama e vuole sempre il nuovo ad ogni costo, contro quanto rimane a costituire valore permanente e insostituibile.

La parola vitale è, invece, quella che dice ancora qualcosa, perché questo qualcosa rimanga, perché non sia trascinato via dalla corrente. La parola vitale, per eccellenza, è quella poetica perché àncora questo perenne corso, questo incessante flusso, alla necessità, al suo essere più vero, più profondo, assoluto; perché, eliminando il dato transeunte, il passeggero, il contingente, va al di là, al nocciolo della cosa, all’essere, a rapire il suo cuore nascosto, la sua matrice inossidabile, la sua eterna essenza. Solo giungendo al cuore delle cose, si può rapire la loro verità, l’immutabilità di ciò che è mutevole, la perfetta forma che fugge nell’indeterminata fluidità del divenire.

Ancorare la parola a questo valore eterno, e perciò universale, è il compito sovrano della mente dell’uomo. La ricerca della verità che è al di là di ogni mutevolezza, ciò che rimane fermo per ogni uomo, è ciò che, da sempre, la più autentica, la più alta poesia ha tentato di esprimere. E lo ha fatto pur sapendo il sacrificio destinato allo scacco, lo ha fatto dando corpo alla sofferenza dell’uomo che affronta il Mistero insondabile ed eterno; alla grandezza dell’uomo che si piega alla necessità del divino senza venire meno al compito grandioso che la scintilla di Dio, presente in lui, ha generato.

 

 


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