In corrispondenza dell’incrocio con viale Lazio, sulla sinistra provenendo dallo Stadio, si trovava un cancello, al suo interno, un fiume in piena di sportelli metallici, saracinesche: rifugi, luoghi di produzione, nubi di polvere e fumo, la macchina d’alimentazione maggiore del crust punk palermitano
La vita e il sound nei box di via Aquileia «Era come una piccola città sotterranea»
Vi avevamo parlato giorni fa, delle sale prova celate nel sotto scala di un grosso palazzo vicino al Tribunale, oggi ci spostiamo verso la zona residenziale al confine con il caotico viale Lazio per raccontarvene delle altre, ancor più oscure e misteriose. A raccontare è Ivan Panebianco, componente della vecchia scuola cittadina, di una scena ormai quasi del tutto dissolta. Ivan ha vissuto un gran numero d’esperienze con le diverse band nelle quali ha militato come bassista e cantante: For The Cause, Burst Up, Soviet Nunz.
«Avrò avuto quattordici, forse quindici anni. Con i miei amici eravamo sempre alla ricerca di posti nuovi dove incontrare dei coetanei. Penso agli scalini di via Aquileia, il tempietto di piazza Politeama, piazzale Ungheria o lo scivolo di viale Strasburgo. Grazie al passaparola e alle compilation registrate su cassetta sono arrivato al punk–hardcore. Subito ho capito che quella era la musica che potevo e volevo suonare. Quasi per caso poi, ho saputo che proprio vicino a dove abitavo esistevano dei garage dove alcuni ragazzi suonavano quella musica, fu una rivelazione».
Con alcune band Ivan, è stato proprio all’interno di questi oscuri garage che ha costruito una storia, composto dei brani, fatto vibrare i coni del proprio amplificatore. Siamo in via Aquileia, in corrispondenza dell’incrocio con viale Lazio, sulla sinistra provenendo dallo Stadio si trova un cancello, al suo interno, un fiume in piena di sportelli metallici, saracinesche, rifugi, luoghi di produzione, nubi di polvere e fumo, la macchina d’alimentazione maggiore del crust punk palermitano.
«Sono stato spinto dalla curiosità – continua Ivan – ancora non suonavo in nessuna band. È difficile descrivere la fascinazione mista a stupore e una certa dose di timore che ho provato entrando lì per la prima volta. I box erano sotto terra e si dividevano in due diramazione che seguivano il percorso delle strade sovrastanti. Ogni garage aveva un gruppo che provava. Alcuni erano aperti, altri chiusi e potevi sentire da fuori il suono dei bassi e della grancassa che facevano tremare le saracinesche. Nel frattempo fuori, ragazzi e ragazze passavano il tempo insieme. Fumando, bevendo o semplicemente ascoltando le prove di chi suonava. Era come una città sotterranea. Fantastico».
«Il box – aggiunge – è il posto dove vai quando non stai a casa. Tra i quindici e i vent’anni i box erano la mia quotidianità. Quando non si entrava a scuola si andava al box, ci si passava interi pomeriggi e spesso si finiva per dormire lì. Si ascoltava musica, si scambiavano opinioni riguardo ai gruppi o i sottogeneri appena scoperti, si guardavano film, si organizzavano concerti improvvisati. Ogni occasione era buona per condividere e sentirsi parte di qualcosa attraverso la musica che suonavamo. I box diventavano poi luoghi molto accoglienti completi di divani, frigoriferi e televisori».
«Con i Burst-up – racconta Ivan – abbiamo fatto parte della seconda generazione dei box di via delle Alpi. Di lì sono passati gruppi storici della scena palermitana come i Brutality, No way out, Once again, Flat denial, Filty sunday circus, Hardcorebaleno. Qualcun altro lo dimentico di sicuro. Erano tempi difficili per ricordare tutto. Era era un ambiente quasi familiare. Ci si prestava gli strumenti, gli amplificatori, le casse. Ricordo che ci si giocava pure a pallone. Di aneddoti ce ne sarebbero un sacco. Dai carabinieri che facevano irruzione almeno una volta al mese minacciando di sequestrare tutto agli scazzi vari con le persone del posto che parcheggiavano le macchine. Del resto era pur sempre un garage – ride -».
Cosa è cambiato? Dove è finita tutta quella voglia di vivere centimetro per centimetro la strada per poter farne la storia e poterla raccontare dopo? «Non voglio fare quelle che rimpiange il passato. – conclude Ivan Panebianco – Ricordo quel periodo come uno dei trascorsi più belli, chiaro. Di situazioni i box di via delle Alpi ne esistevano diverse, in altre zone della città, con altre sale prove e altri gruppi. Anche di posti dove suonare e dove ascoltare musica dal vivo ne avevamo tanti. Mi ricordo di almeno uno o due concerti a settimana… Adesso, anche se non mancano realtà che spingono la musica alternativa e il mondo underground, a mio modesto parere mancano le band, prima eravamo veramente in tanti. Le cose però si muovono. Ci sono tante realtà interessanti. Penso a un locale storico come il Rocket Bar o più recentemente il Roxanne e ai pochi posti occupati che ancora resistono. Insomma di fuoco ce n’è, forse manca un po’ di carne».