Non appena il nostro giornale tocca il tema dei precari della Regione, dobbiamo fare i conti con commenti, e.mail e telefonate dai toni risentiti. E successo ieri, ma anche nei giorni scorsi. A questo punto, è bene fare chiarezza sui precari che prestano servizio negli uffici della Regione siciliana e, in generale, su tutto il pecariato ancora tale o stabilizzato.
In primo luogo, una considerazione: questo giornale non ha mai scritto contro i precari, semmai ha criticato la politica siciliana che sul precariato ha costruito le proprie fortune, mandando in tilt i bilanci pubblici (della Regione e di tanti Comuni della nostra Isola).
Qualche settimana fa, ad esempio, quando si profilava la disoccupazione per i mille e 800 dipendenti della Gesip – una delle tante società del Comune di Palermo riempite di precari – non abbiamo esitato a difendere questi lavoratori. Per un motivo semplice: perché non ci sembrava – e non ci sembra – giusto gettare in mezzo alla strada questi lavoratori, quando ce ne sono altri, negli stessi uffici del Comune di Palermo, che invece vengono tutelati.
Così come, in questi giorni, non abbiamo attaccato i precari che prestano servizio negli uffici della Regione (che sono molto di più di 750), ma ci siamo soltanto limitati ad osservare che la proroga del loro contratto, contenuta nel disegno di legge che proroga per aprile lesercizio provvisorio della Regione, è priva di copertura finanziaria e, pertanto, rischia limpugnativa da parte del commissario dello Stato.
I signori precari della Regione siciliana lo devono capire: per compiacerli, non possiamo non fare il nostro mestiere di cronisti. E, tuttora, siamo ancora convinti di quello che abbiamo scritto: ci piacerebbe capire, infatti, dove verranno presi i soldi – se non ricordiamo male un milione e 200 mila euro – per finanziare la proroga del contratto dei medesimi precari.
Fatta questa precisazione, non abbiamo difficoltà ad affermare che, a nostro modesto avviso, nella pubblica amministrazione si deve accedere per concorso e non per stabilizzazioni. Perché la Costituzione italiana, checché ne dica la politica siciliana truffaldina e mafiosa, stabilisce che nella pubblica amministrazione si accede per concorso e non per stabilizzazioni.
Ci rendiamo conto che, oggi, non sarebbe percorribile – né giusta – la strada dello sbaraccamento di tutto il precariato. Perché ci sono persone – migliaia e migliaia di persone – che ormai prestano servizio presso uffici pubblici e, dopo tanti anni, non possono esere messi alla porta.
Non ci sembra, però, percorribile – per citare un esempio – quello che sta succedendo al Comune di Palermo, dove, per pagare lo stipendio ai precari, si stanno aumentando imposte e tasse ai cittadini. La crisi economica colpisce tutti. Le famiglie e le imprese sono già tartassate da una crisi economica spaventosa. Ebbene, in questo scenario, si appioppano ai palermitani altre tasse e altre imposte per pagare i precari che, alla fine, sono serviti a certi politici per costruire le prprie carriere. Ci dispiace, signori, così non funziona.
Ci rendiamo conto che se certe cose sono avvenute – soprattutto dal 2001 ad oggi – è perché nessuna autorità è intervenuta per bloccare lo scempio che è stato fatto sul versante delle società pubbliche regionali e comunali. Alla fine degli anni 90 la Regione siciliana metteva fine alla lunga, tormentata e infausta stagione delle Partecipazioni regionali (Espi, Ems, Azasi). Ebbene, mentre era ancora in corso la liquidazione di questi tre enti storici e delle tante società partecipate da tali enti (liquidazione, detto per inciso, che è ancora in corso: e ci chiediamo perché la perdita di tutto questo tempo: ma questa è unaltra storia), la Regione e i Comuni si gettavano nella costituzione di nuove società pubbliche.
Perché certe leggi regionali non sono state impugnate? In questi dieci anni la politica siciliana ha messo a punto una grande operazione di ingiustizia: ha scelto, ad uno ad uno, migliaia di precari e li ha sistemati – sempre ad uno ad uno – nelle tante società pubbliche, regionali e comunali. Palermo stato lepicentro di questo disastro sociale ed economico: sia perché a Palermo ci sono gli uffici della Regione, sia perché lo stesso Comune ha lavorato qualcosa come 10 mila precari. E la stessa cosa è avvenuta nella stragrande maggioranza dei Comuni dellIsola, dove non manca certo personale precario o già stabilizzato.
In Sicilia la politica – tutta, di maggiorana e di opposizione – ha aggirato la Costituzione del nostro Paese, sotto gli occhi distratti delle tante autorità. Invece di bandire i concorsi pubblici, dando accesso negli uffici della pubblica amministrazione ai più bravi, sono stati bloccati i concorsi per fare posto ai precari scelti – lo ripetiamo, ad uni ad uno – dai politici. Uno schifo.
Oggi ci domandiamo perché la pubblica amministrazione regionale non funziona: perché le procedure sono lente: perché la macchina amministrativa è bloccata e non si spendono i fondi europei e bla bla bla. La domanda da porsi è unaltra: perché la pubblica amministrazione siciliana dovrebbe funzionare, dal momento che buona parte del personale è stato selezionato senza concorso, scartando i migliori che, giustamente, davanti a questo metodo mafioso hanno preferito lasciare la Sicilia andando a cercare lavoro altrove? Quanti sono, oggi, i dipendenti della Regione e dei Comuni regolari vincitori di un concorso? E tra gli attuali dirigenti generali della stessa Regione siciliana quanti sono i vincitori di concorso?
Sul precariato sono state fatte tante leggi. Ogni anno, in bilancio, si appostano i soldi per pagarli. Come se fosse un investimento ‘produttivo’. Ce una legge, approvata dallArs nei primi anni del 2000 – vera a propria madre di tutti gli errori – che ha dato il via alle ‘stabilizzazioni’. Come mai questa legge, allora, non è stata impugnata? Era così difficile pensare che, stabilizza oggi e stabilizza domani, a un certo punto, le risorse finanziarie per pagare tutta questa gente non sarebbero più bastate? Oppure chi ha fatto passare questa legge pensava che la politica siciliana si sarebbe fermata prima del precipizio?
Chi lo ha pensato si è sbagliato: la politica siciliana non si è fermata. Tantè vero che il bilancio della Regione, oggi, non può essere approvato per un motivo semplice: perché non ci sono più soldi. Tantè vero che il Comune di Palermo è ormai in dissesto finanziario, anche se tutti fanno finta di non saperlo, perché nessun futuro sindaco potrà mai trovare i soldi per pagare 10 mila dipedenti più altri novemila precari più o meno stabilizzati.
La verità è che se in questi dieci anni fosse stato istituito il salario minimo garantito, con la metà dei soldi spesi per il precariato il doppio delle persone coinvolte nello steso precariato avrebbe trovato un aiuto. Mentre con laltra metà dei soldi risparmiati si sarebbero potuti creare un sacco di posti di lavoro veri, evitando che tanti giovani siciliani bravi e preparati scegliessero la via dell’emigrazione. Invece, come già accennato, la politica siciliana ha preferito scegliersi ad uno ad uno i precari – un voto e forse più per ogni precario (votano anche i familiari, no?) – per gestirli ad ogni nuova campana elettorale.
La stessa gestione dei fondi europei risente di tale impostazione truffaldina. Perché mai la politica siciliana dovrebbe spendere bene i fondi europei creando infrastrutture e veri posti di lavoro? Molto più comodo tenere nel bisogno migliaia di persone. E infatti i fondi strutturali di Bruxelles, giunti in Sicilia, subiscono una ‘deviazione. Le risorse del Piano di sviluppo rurale (Psr) non servono per gli agricoltori siciliani – che infatti muoiono di fame – ma vanno utilizzati per foraggiare giovani agricoltori scelti – sempre ad uno ad uno – dalla politica. Gli oltre 2 miliardi di euro del Fondo sociale europeo (Fse) non servono per organizzare veri corsi di formazione professionale commisurati alle richieste del mercato del lavoro: al contrario, servono per foraggiare gli stessi partiti politici, le organizzazioni sindacali e apparati e potetanti vari: cosa che è stata puntualmente fatta con quello scandalo internazionale che si chiama Aviso 20 (e anche con altri Avvisi non a caso bloccati dalla Corte dei Conti). Le risorse del Fesr (Fondo europeo di sviluppi regionale) non si spendono perché ancora la politica siciliana non ha trovato il modo di averne un congruo ritorno clientelare: il resto sono chiacchiere.
E in questo scenario che si inserisce la vicenda del precariato. Che, ormai, ha risvolti tragici, visto che i soldi sono finiti. Ma anche risvolti paradossali. E il caso di alcune categorie di precari che, appena qualche anno fa, hanno rifiutato la ‘stabilizzazione’. E sapete perché, cari lettori? Perché queste categorie di precari avrebbero voluto essere stabilizzati nei ranghi alti dellamministrazione regionale. Non solo sarebbero entrati a vita negli uffici della Regione: volevano anche il rango: funzionari e alcuni, addirittura!, dirigenti. Sì, avete letto benissimo: dirigenti regionali stabilizzati. Appoggiati da unorganizzazione sindacale (caffè pagato a chi indovina di quale organizzazione sindacale si tratta).
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