In tre si sarebbero organizzati con carte intestate false, plichi con timbri di ceralacca e millantando di agire per conto un generale dell'esercito. Uno si presentava come il vescovo di Monreale. In cambio di ogni promessa avrebbero intascato 2500 euro
La truffa su posti di lavoro in una finta base militare Oltre un centinaio di disoccupati vittime del raggiro
A pochi giorni dalla notizia del raggiro portando avanti spacciandosi come braccio laico del Vaticano, un’altra truffa viene alla luce. In questo caso uno dei protagonisti non avrebbe millantato legami d’alto livello, ma si sarebbe direttamente presentato come importante esponente del clero. Nello specifico, sarebbe stato il 62enne L. M. a vestire i panni di un sedicente «cardinale vescovo di Monreale». La finzione sarebbe stata utile per portare avanti gli interessi di quella che la procura di Agrigento considera un’associazione a delinquere. Montemurro, residente a Favara, avrebbe infatti potuto contare su due fratelli di Canicattì, A.F. e D.F., di 57 e 49 anni.
Stando a quanto raccolto dalla procura, il trio, a cui è stato notificato l’avviso di chiusura delle indagini, dal 2018 sarebbe riuscito ad avvicinare circa 150 persone, proponendo loro la possibilità di ottenere un posto di lavoro sicuro all’interno di una base delle forze armate che presto sarebbe stata realizzata in località Punta Bianca. La ricerca delle persone da truffare sarebbe passata da uno schema multilevel, un effetto domino in cui le vittime finivano per proporre altri soggetti da raggirare. Per godere della corsia preferenziale al momento delle assunzioni, ogni vittima avrebbe dovuto pagare una mazzetta di circa 2500 euro oltre che assicurare di non parlare con nessuno dell’offerta ricevuta.
Per riuscire a mantenere in piedi la sceneggiata, gli indagati si sarebbero anche dotati di documenti, risultati falsi, riportanti intestazioni della Nato e timbri in ceralacca. Alle vittime – individuate soprattutto in soggetti disoccupati o in cerca di occupazione più stabile – sarebbero stati consegnati anche tesserini che avrebbero dovuto consentire l’ingresso nella base militare di Comiso, dove si sarebbe tenuta la formazione. Gli indagati avrebbero anche sostenuto di agire nell’interesse di un generale di corpo d’armata dell’esercito italiano.