La tipica giornata del ricercatore universitario. Chi è, cosa fa, come la pensa

Torniamo a occuparci della riforma Moratti. Per capire perchè è tanto odiata bisogna addentrarsi meglio nelle realtà che questa va a trasformare o, forse, a snaturare. Uno dei provvedimenti che depauperano la formazione universitaria è quello che prevede la messa in esaurimento della figura del ricercatore universitario. Al suo posto è prevista quella nuova di “professore aggiunto”, che ancora non si sa bene quale forma aliena di studioso sia!

Non si comprende bene perchè chiamarlo “professore”, quando è previsto che svolga sostanzialmente delle attività di tutorato e di sostegno. Ma bisogna davvero cambiare la figura del ricercatore? E’ davvero così di secondo piano il suo ruolo? Ma cosa fa davvero questo “losco” individuo? La nostra redazione, mai doma nella ricerca della verità, è andata ad intervistare i dottori di ricerca Massimo Schilirò (letteratura italiana), Salvo Cannizzaro (geografia) e Marco Mazzone (filosofia del linguaggio).

Alla richiesta: « Professore (anche se per legge non possono fregiarsi di questo nome, per noi lo sono), ci racconti la giornata tipica del ricercatore » il dott. Schilirò, dalla tipica flemma, incalza dicendomi: « Innanzitutto “professore” è un titolo che non mi tocca. Da ricercatore sono solamente “dottore”. Con la riforma Moratti ci è concesso di chiamarci “professori” se superiamo un piccolo esame, diventando “professori aggiunti”. Ma questo esame è ininfluente dal punto di vista stipendiale e delle funzioni, cambia, fondamentalmente, solo il titolo” Dopo, visibilmente tornato alla normalità, continua: « In primo luogo dico che la mia posizione è diversa da quella del “ricercatore tipo”, perché sono un ricercatore s.p.s. (senza presa di servizio n.d.r.). Il blocco delle assunzioni che il governo ha predisposto fino al 2005 ci impedisce di prendere servizio, di ottenere una retribuzione e, quindi, di svolgere interamente il lavoro che saremmo chiamati a fare. La mia condizione non mi permette di dedicare tutto il tempo alla didattica e alla ricerca e devo cercare di trovare delle occasioni di retribuzione. Il mio lavoro in facoltà (da dieci anni, prima in condizione di precariato e successivamente di ricercatore), quando ho la possibilità di gestire la giornata come più desidero, è costituito principalmente dalla occupazione didattica: l’incontro con gli studenti, le lezioni, i seminari e dal fondamentale incontro con gli studenti, la tesi. Questa con gli studenti del vecchio ordinamento mi impegnava per un anno, adesso è cosa perduta. Era l’unico momento in cui il rapporto tra lo studente ed il docente era di stretta cooperazione.

Avvalora quanto detto dal dott. Schilirò, la risposta del dott. Cannizzaro, assegnista alla cattedra di geografia, che ci racconta:« La giornata è sempre piena e, chiaramente, il tempo non è limitato all’attività di ricerca, che richiede letture, analisi dell’informazione, dei dati e stesura delle ricerche eseguite, ma viene impiegato, in larga misura, anche nel rapporto con gli studenti. Teniamo molto a mantenere vivo il contatto con loro, che si rivolgono a noi sia per la semplice informazione sul programma didattico, sulla data degli esami, sia per la richiesta della tesi, che seguiamo personalmente».

Dello stesso avviso, anche se più stressato, è il dott. Mazzone che afferma:« La giornata “tipica” è difficile raccontarla perché le giornate non si somigliano mai tra loro. Comune a tutte è lo stress e la quantità di cose da fare, che supera sempre il tempo a disposizione. Questo perché il carico di lavoro didattico dei ricercatori è ormai assolutamente soverchiante. Di fatto oggi i ricercatori sono docenti a pieno titolo in quasi tutte le facoltà italiane».

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