La storia del debito pubblico in Italia. Perché rischiamo di colare a picco

Tutte le volte che un Governo presenta le proprie dimissioni comincia la corsa all’analisi del suo operato. È stato migliore o peggiore di quelli precedenti? Ha raggiunto gli obiettivi che si era preposto? E via discorrendo per interminabili dibattiti pubblici e privati.

Pochi Governi, in verità, sono stati capaci come quello attuale di creare situazioni per cui si parlerà ancora di loro per molti anni a venire. Per molti anni, infatti (almeno un ventennio stando alle ultime leggi varate dal governo Monti) gli italiani dovranno subire gli effetti di dissennate politiche di indebitamento intraprese negli ultimi trent’anni.

Le conseguenze di queste scelte si stanno facendo sentire già oggi, in un contesto di forte crisi economica, ma avranno effetti molto più devastanti sulla generazione che oggi ha tra i 18 e i 25 anni, la prima nella storia d’Italia che starà peggio di quella dei propri genitori, e sui neonati che, appena venuti al mondo, già nel momento stesso in cui vengono al mondo si vedono appioppato un bel regalo di Natale: un debito di 33.081 mila euro a testa. (a sinistra, andamento del debito pubblicoin Italia negli ultimi 15 anni: foto tratta da ideativi.it)

A cosa è dovuto tutto ciò? Questo “regalo di Natale” è dovuto al fatto che il nostro Paese, per molti anni a venire, sarà costretto a pagare debiti, e relativi interessi, contratti dai governanti attuali e da quelli che li hanno preceduti.

Quasi ogni giorno, ormai, si sente parlare sui media televisivi e radiofonici delle ottime performance ottenute dal Tesoro che ha venduto, grazie alla collaborazione degli istituti di credito, enormi quantità di titoli di Stato. Ciò, lungi dall’essere una buona notizia, dovrebbe essere come un grido d’allarme. Per due motivi.

Innanzitutto, la vendita da parte dello Stato di titoli ha due conseguenze molto importanti. La prima è che la necessità di un Governo di ricorrere all’indebitamento è segno che la gestione della cosa comune ha costi maggiori rispetto alle entrate, ragion per cui il Governo è costretto a cercare altri soldi, sotto forma di titoli, per “coprire le spese sostenute”. Pochi giorni fa, approfittando della ricorrenza del Natale, la Banca d’Italia ha confermato che il debito pubblico nel nostro Paese ha raggiunto i 2,014 miliardi di euro e che, nonostante gli sforzi cui sono stati costretti gli italiani, nonostante le maggiori imposte e tasse, tale somma è aumentata del 3,7% rispetto all’esercizio precedente.

Ciò è ancora più preoccupante, se non addirittura allarmante, se si considera che questa “performance” negativa è in parte nascosta e attenuata dal fatto che il Governo ha accumulato, nel corso dell’anno, sul conto di Tesoreria della Banca d’Italia circa 53 miliardi di euro di debiti (una anno fa ne aveva depositati circa 38).

La seconda conseguenza, forse ancora più importante della prima, è che ogni euro che il nostro Pese riceve “in prestito” grazie alla vendita dei titoli, dovrà essere ripagato, prima o poi, con degli interessi che non faranno altro che aumentare i costi di gestione della cosa pubblica, ovvero le tasse per gli italiani.

Non solo. Come previsto dal trattato del Mes, il meccanismo europeo salva-Stati, i prossimi Bot e Btp che saranno emessi con le cosiddette Cac, le Clausole di azione collettiva, permetteranno ad uno Stato in difficoltà di ristrutturare il proprio debito ottenendo il consenso della maggioranza dei creditori, in modo da avere mani più libere per allungare le scadenze, ridurre i tassi o proporre lo scambio con altre obbligazioni. Una vera rivoluzione che avrà conseguenze non indifferenti già dal prossimo anno, quando è prevista la vendita di 30 miliardi di euro in meno di titoli di Stato in BTP e in BOT.

Ma andiamo con ordine.

L’indebitamento non è, di per sé, una cosa negativa. È l’essenza del capitalismo. Il debito (o il credito, a seconda dalla parte di chi lo vede) implica uno scambio di moneta attuale contro moneta futura dietro un corrispettivo (interesse). Sulla base di uno studio condotto da Invest Banca nel il 2013, se si considera la somma di debito privato e debito pubblico, il nostro Paese non è in condizioni poi così gravi.

Tanto per restare in Europa, Francia (323%), Regno Unito (466%) e Spagna (366%), ad esempio, sono in condizioni peggiori della nostra (la somma del debito pubblico e privato in Italia è intorno al 315%), anche la Germania (285%) non è molto lontana.

Il problema, in Italia, è il debito pubblico. Ciò non solo per il valore assoluto che ha raggiunto e che continua ad aumentare, ma per il fatto che il debitore, cioè lo Stato, agli occhi dei creditori, comincia ad apparire incapace di controllare la propria spesa.

Il debito pubblico nel nostro Paese ha origini antiche e, per certi aspetti, sorprendenti. Subito dopo l’unificazione d’Italia, nel 1861, dal momento che ogni territorio del nuovo Stato aveva una propria imposizione fiscale e un proprio indebitamento, una delle prime operazioni che venne effettuata fu analizzare le partite attive e passive del bilancio.

La differenza che emerse fu netta e, per certi aspetti, sorprendente: al Nord, soprattutto in Lombardia e Piemonte, vi era una notevole tassazione, un forte ricorso alla spesa pubblica e un conseguente elevato indebitamento per garantire servizi ed infrastrutture. Al Sud, invece, l’imposizione fiscale era, al pari dei servizi, più bassa. Il Gran Libro del debito pubblico del Regno d’Italia fu istituito il 10 luglio del 1861 per farvi confluire le passività degli Stati prima della formazione di una nazione unitaria, l’Italia, appunto.

Da molti anni ormai (da Rumor nel 1977), ogni Governo nazionale (fatte un paio di eccezioni) ha mostrato la propria incapacità nel contenere o nel ridurre sostanzialmente il debito pubblico (http://www.irpef.info/testi/debito.html). Negli anni ‘70, il rapporto deficit/Pil si attestava tra il 40 ed il 65%. Negli anni Ottanta ebbe una netta impennata grazie al governo Craxi e raggiunse l’84,5%. Una nuova crescita repentina avvenne sotto i Governi Amato, Ciampi e nel primo Berlusconi. Seguì un leggero calo e una nuova impennata durante l’ultimo governo Berlusconi e il governo Monti con il quale si è raggiunto il record imbattuto di oltre il 126%.

Ciò è ancora più grave se si pensa che i titoli che costituiscono il debito pubblico del nostro Paese sono per la maggior parte sul mercato finanziario e, data l’incapacità dell’Italia di ripagarli, devono essere costantemente rinnovati ad ogni scadenza con l’emissione di nuovi titoli, a condizioni di volta in volta imposte dal mercato. A riprova di ciò, nonostante le parole forse troppo ottimistiche del ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, che ha affermato di poter ridurre del 20% il debito da qui al 2017 e ha lanciato il piano per la riduzione del debito pubblico italiano (basato, però, sulla vendita dei beni pubblici), il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha fatto una stima ben diversa e ha affermato che con il 95% di possibilità, fra cinque anni, il debito pubblico sarà ancora tra il 120% e il 130% del Pil.

Come se tutto ciò non bastasse, parte di questo debito del nostro Paese è nei confronti dell’Europa. Ciò non è un bene, anzi. Un tempo, ogni Paese coniava la propria moneta e le monete dovevano essere coperte da riserve in oro. Oggi, quando il nostro Stato domanda moneta alla Banca centrale europea (Bce), deve coprire il costo del valore nominale non con oro o con risorse reali, ma con titoli del debito pubblico, impegnandosi in questo modo a versare degli interessi e, di conseguenza, a riscuotere crescenti tasse dai cittadini e dalle imprese per poterli pagare.

Non è bello essere pessimisti a Natale, ma visti i regali che stiamo ricevendo dal Governo, e le prospettive per il prossimo anno, forse sarà meglio fare come purtroppo molte famiglie italiane, già quest’anno, sono state costrette a fare: rinunciare al panettone di Natale e mettere da parte i soldi per poter pagare le tasse il prossimo anno.

 

 


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