La storia dei bambini esposti nelle ruote

Li chiamavano esposti, projetti o gettarelli, i bimbi frutto del disagio sociale o nati da relazioni extra coniugali stigmatizzate dalle ferree convenzioni religiose del tempo. In un’epoca non troppo lontana, i neonati che le famiglie non potevano mantenere venivano depositati nella cosiddetta ruota (Rota Proiecti) collocata presso alcune chiese o istituti: un cilindro di legno cavo, rotante su un perno, che accoglieva all’interno il neonato e, con breve spinta, lo portava dentro l’edificio. Attaccate alla ruota, alcune campanelle avvisavano la ruotaia dell’arrivo del piccolo al quale si imponevano nome e cognome di fantasia. Erano comuni i nomi di città, di allusione all’abbandono: Trovato, Diolosà, D’ignoti Parenti, Ignoto. O, ancora, di riferimento agli ospedali: Colombo a Milano – dal simbolo dell’ospedale Maggiore, Innocenti o Degl’Innocenti a Firenze – dallo Spedale dell’Innocenti. A Napoli i neonati accolti nel brefotrofio venivano chiamati figli della Madonna o esposti: ossia esposti alla protezione della Madonna (da cui il cognome Esposito), mentre a Roma i trovatelli erano appellati con il termine projetti (gettati, allontanati). Una volta accolti, venivano immediatamente battezzati, un tempo esisteva una pratica che voleva i neonati bollati sulle carni, solo in seguito si legherà loro al collo una medaglietta identificativa con il nome dell’ospedale ed un numero di matricola.

La ruota degli esposti, istituita in Sicilia dal viceré Laviefeuille nel 1750, era concepita dalle famiglie povere come forma assistenziale: molti neonati abbandonati venivano ripresi dai genitori al termine del periodo di allattamento. Per questa ragione, si collocavano, all’interno della ruota, oggetti o scritti utili all’identificazione del bambino. I piccoli prelevati venivano inizialmente affidati ad una balia per l’allattamento, e successivamente, mandati negli orfanotrofi. 

A Catania gli esposti, fino ai cinque anni per i maschi e sette per le femmine, erano affidati alle levatrici o alla Casa di Nutrizione, ubicata nella strada delle ree pentite numero 11 – attualmente in via Ardizzone 59 – dove si trovava la ruota. Si racconta che, al compimento del quinto e settimo anno di vita, passavano ai convitti statali o ai conservatori gestiti da ordini religiosi. 

Le projette settenarie erano destinate al Conservatorio di Esposte ubicato, ai tempi, nella Strada degli Ammalati (oggi Via Maddem numero 63). Dai ricavi del lavoro delle fanciulle recluse si costituiva la dote matrimoniale o monastica delle stesse: aut virum… aut murum. 

Il primo istituto cittadino La Casa degli Orfanelli, fu fondato nel 1550 mentre, nel 1586, aprì il Conservatorio delle Verginelle di S. Agata, per le ragazze povere da istruire nei lavori donneschi.

A Catania, il Reale Ospizio di Beneficenza istituito da Ferdinando II nel 1834, trovò posto nel Collegio dei Gesuiti di Via Crociferi, confiscato all’Ordine. Il vecchio Collegio della bassa gente o Ospizio provinciale degli esposti accoglieva i projetti di Catania e Noto di sette anni compiuti. Possedeva una tipografia la cui marca (Reale Ospizio di Beneficienza) fu impressa sui frontespizi di diverse edizioni locali e una banda musicale che si esibiva nelle cerimonie pubbliche ufficiali. 

In Sicilia, lo Stato e la Chiesa intervennero sul controllo della famiglia con un sistema di leggi all’avanguardia per frenare l’aborto e l’infanticidio o l’esposizione. Nel 1776, il canonico Francesco Giuffrida Nicotra, istituisce il Reclusorio del Santo Bambino, per ospitare donne nubili in stato di gravidanza, permettendo loro di partorire segretamente, e per assistere e nutrire gli esposti. Fu uno dei primi ospedali per bambini illegittimi sorti in Europa con le sale per partorienti e l’assistenza del chirurgo. 

Il sacerdote Vincenzo Scammacca Paternò Castello dei baroni della Bruca trasferì il reclusorio in uno stabilimento nel quartiere dell’Antico Corso. All’ospedale del Santo Bambino venne successivamente incorporata la Pia Opera delle Ree pentire, un’istituzione assistenziale per quelle donne che, dopo il parto, intendevano rimanervi a servizio. 

Nel 1923, il regolamento generale per il servizio d’assistenza agli Esposti abolì definitivamente le “ruote” già cadute in disuso a partire dalla fine dell’Ottocento, perché ritenute incivili e causa di abusi.

Giusy Belfiore

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