Al centro del business ci sarebbero state le plastiche usate nelle serre, trasformate in materia prima da esportare in Cina, dove sarebbero state lavorate e trasformate in scarpe, per poi rientrare in Italia. I nomi degli arrestati
La Stidda e le plastiche delle serre da inviare in Cina Ex pentito Claudio Carbonaro voleva ricostruire il clan
Reo confesso di 60 omicidi ed ex collaboratore di giustizia, dalla fine del 2013 era tornato nella sua città, Vittoria, e aveva ripreso in mano «gli affari di famiglia», fiutando il grande business della plastica delle serre e di tutto l’indotto che ruota attorno al settore trainante dell’economia iblea: l’agricoltura. Claudio Carbonaro, 60 anni, aveva ricucito i rapporti con i D’Agosta, altra famiglia di riferimento della Stidda, e insieme ai Trubia, egemoni nel Nisseno, avevano messo sotto controllo un intero territorio e un comparto, non lasciando liberi gli imprenditori nemmeno di scegliere come smaltire le coperture delle serre.
Questa la tesi sostenuta dalla Dda di Catania che ha coordinata un’indagine partita da Roma e culminata, stanotte, in un’ordinanza di custodia cautelare per 15 persone, delle quali dieci finite in carcere, tra Catania e Siracusa, e cinque ai domiciliari a Vittoria. Disposto anche il sequestro preventivo di cinque aziende operanti nel settore del riciclo plastiche. Da qui il nome dell’operazione: Plastic free. Le aziende sequestrate, tutte nell’ipparino, sono Mac Plast Vittoria, Mac Plast Film, Business Life e Iblea Plast. Sequestrate anche alcune quote della Treelle srl. Il volume di affari complessivo delle aziende sequestrate ammonta a circa cinque milioni di euro, ed è stato ora nominato un amministratore giudiziario, in modo da consentire la prosecuzione dell’attività imprenditoriale a salvaguardia dei lavoratori.
Tutti gli arrestati, già condannati per 416 bis, devono rispondere di associazione a delinquere di stampo mafioso. Tra i reati contestati rientrano pure l’estorsione pluriaggravata, l’illecita concorrenza con minaccia, le lesioni aggravate, la ricettazione, la detenzione ed il porto di armi da sparo, il danneggiamento seguito da incendio, il traffico illecito di rifiuti aggravato. Le indagini hanno avuto origine nel 2014 da un sequestro, operato a Roma dalla Squadra Mobile, di calzature contenenti materiali nocivi per la salute. Da lì l’ipotesi dell’esistenza di un’organizzazione dedita al traffico di rifiuti plastici, acquisiti da imprese di raccolta e stoccaggio con sede nelle province di Ragusa e Catania ed esportati in Cina, dove venivano utilizzati per la fabbricazione di scarpe, poi importate in Italia e commercializzate pur contenendo sostanze tossiche.
Nell’ipotesi investigativa, le materie plastiche di scarto provenienti dal territorio ibleo venivano recuperate prevalentemente dai teloni di copertura degli impianti serricoli del Vittoriese. Materie risultate inquinate da agenti altamente tossici (fitofarmaci e pesticidi). Andando avanti con le indagini e le intercettazioni, si è capito che i cinesi c’entravano poco o nulla e che erano le principali imprese vittoriesi a mettere le mani nei teli dismessi dalle serre della Sicilia centro-orientale. Per assicurarsi il business, il gruppo sarebbe ricorso anche alle intimidazioni mafiose, messe in atto per sbaragliare la concorrenza di altre aziende.
In particolare, Carbonaro, forte del suo nome e del cuo curriculum, avrebbe intimorito non poco gli imprenditori e gli stessi sodali, finendo per esercitare il controllo totale sulla filiera. Con lui in carcere, al termine del blitz, sono finiti: Salvatore D’Agosta, Giuseppe Ingala, Antonino Minardi, Crocifisso Minardi, Emanuele Minardi e Salvatore Minardi, Giovanni Tonghi, Giovanni e Raffaele Donzelli, tutti pregiudicati. Ai domiciari sono stati posti Gaetano Tonghi, Giovanni Longo, Andrea Marcellino, Salvatore Minardi e Francesco Farruggia.
Il sistema sarebbe stato finalizzato ad ottenere il conferimento, in via esclusiva, della plastica alla Sidi della famiglia Donzelli, tanto che la giudice per le indagini preliminari Ivana Cardillo ha applicato la misura cautelare nei loro confronti per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Tra gli episodi accertati quello risalente al 2015 quando D’Agosta e Salvatore Tonghi avrebbero appiccato il fuoco a un autocarro di proprietà di una ditta di raccolta plastica al fine di intimidirli e non farli operare sul territorio vittoriese. Nel 2017 Antonino Minardi e Ingala Giuseppe avrebbero, invece, danneggiato l’autovettura di uno dei responsabili di un’azienda agricola, reo, a loro dire, di aver fatto prelevare la plastica dismessa ad un’altra impresa di raccolta plastica. In quella occasione, erano stati arrestati dalla Squadra Mobile di Ragusa due soggetti per detenzione di armi rubate, immediatamente dopo aver commesso il grave atto intimidatorio. Carbonaro, D’Agosta, Antonino Minardi e Donzelli disponevano pure di armi di diverso tipo ed erano pronti ad usarle, senza alcun problema. Minardi, infatti, è stato arrestato dalla Squadra Mobile di Ragusa per la detenzione di una pistola rubata nel mese di settembre 2019.
Tra i reati contestati (solo a Donzelli Giovanni, Donzelli Raffaele, Marcellino Andrea, Farruggia Francesco e Longo Giovanni), vi è inoltre la gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti. Gli indagati avrebbero smaltito abusivamente i fanghi speciali provenienti dal lavaggio della plastica, nocivi in quanto costituiti da terra mista a fertilizzanti e pesticidi. I rifiuti venivano sarebbero stati e ricoperti con cemento e asfalto o ancora occultati mediante sversamento abusivo nei terreni adiacenti la Sidi dei Donzelli o in altri terreni di Vittoria, creando un grave danno all’ambiente.
«Era un gruppo dalla fortissima pericolosità sociale – ha detto il questore Salvatore La Rosa in conferenza stampa – e non è stato facile riuscire a stroncarlo, ma per fortuna il lavoro sinergico di squadre mobili, procura distrettuale, reparto prevenzione crimine e unità Cinofile ha permesso di disarticolarlo».