Il maggiore dei carabinieri Luigi Mancuso guida il Nucleo di tutela del patrimonio culturale. A MeridioNews racconta le caratteristiche di un fenomeno che ogni anno sottrae al territorio un'importante fetta del proprio passato. «Commercio esterno, ma a scavare sono i locali», dichiara. L'entroterra è l'area più colpita
La Sicilia dei tombaroli: tra picconi e motopale «Criminalità settoriale che danneggia la storia»
Mettersi a scavare alla ricerca di monete, vasi e qualsiasi altra cosa possa essere venduta – clandestinamente – a collezionisti e amanti del passato. È questa la passione (illegale) dei cosiddetti tombaroli, che hanno nella Sicilia una terra particolarmente interessante. A contrastare questi saccheggi è il Nucleo di tutela del patrimonio culturale di Palermo, guidato dal maggiore Luigi Mancuso.
Quello degli scavi clandestini nei siti di interesse culturale è un settore che ogni anno registra un fatturato non indifferente. L’ultimo caso è quello di Santa Maria di Licodia dove nelle scorse settimane sono stati sequestrati diversi reperti. «Abbiamo trovato monete e pesi da telaio – dichiara Mancuso a MeridioNews – ma le tipologie di oggetti in genere trafugati sono diverse. La Sicilia è una regione ricchissima di storia. Quando si pensa ai tombaroli non bisogna immaginare che entrino in azione soltanto nei siti più famosi. Anzi – continua il maggiore – quelli meno conosciuti sono più appetibili, perché meno controllati». In tal senso, l’area centrale della Sicilia è quella più battuta dai saccheggiatori: «L’anno scorso in una sola operazione, nei dintorni di Caltanissetta, siamo riusciti a recuperare circa mille pezzi – prosegue -. La refurtiva era destinata a collezionisti che vivono perlopiù nelle regioni del Nord».
Quello del trasferimento dei pezzi rubati è una costante nell’attività dei tombaroli: «Il commercio è sia nazionale che internazionale, a comprare sono collezionisti e appassionati, ma quasi mai – sottolinea Mancuso – siciliani». A differenza, invece, di chi si cimenta negli scavi: «Si tratta in gran parte di persone che vivono nella stessa regione, che si spostano tra una provincia e l’altra con una buona conoscenza del territorio», aggiunge il maggiore specificando che tale competenza non è altrettanto riscontrabile nelle modalità con cui i furti vengono commessi: «Imparano sul campo e capita che agiscano con picconi, se non proprio con mezzi utilizzati nel settore del movimento terra». Questo fa sì che alla perdita del reperto si aggiunga il danneggiamento del sito. «Si perdono informazioni importanti sulla storia di un luogo. Un oggetto che viene separato dal posto che lo ha custodito fa perdere le tracce del passato».
Le difficoltà nell’attività investigativa del nucleo, che in più occasioni opera con la Dda, riguardano perlopiù il fatto che – a differenza dei furti di opere d’arte – si va alla ricerca di oggetti mai catalogati e dunque a tutti gli effetti «inesistenti» per gli studiosi. Per quanto riguarda, invece, la natura criminale degli stessi tombaroli, secondo il maggiore, avrebbero poco a che fare con la mafia: «Si tratta perlopiù di una criminalità settoriale, specializzata in questo genere di reati che comunque vanno perseguiti con serietà e costanza».
Nel 2014, il Nucleo di tutela del patrimonio culturale regionale ha individuato 29 scavi clandestini e al sequestro di circa duemila reperti. Oltre a seguire le strade che portano ai collezionisti, le indagini hanno riguardato anche mercatini, fiere e antiquari. Luoghi nei quali, stando ai dati, non è insolito trovare beni culturali rubati. Negli scorsi giorni, a contrastare i tombaroli è stata anche la guardia di finanza con un’operazione che a Gela ha portato all’arresto di 12 persone. In questo caso, a essere maggiormente danneggiato è stato il sito di Kamarina, in provincia di Ragusa.