La scultura di Rosario Vullo, dalla plastilina a Mosca «Dalla pandemia l’uomo rinascerà grazie all’arte»

È in una delle stanze di quella che un tempo era villa Pignatelli Florio, che Rosario Vullo crea i suoi capolavori. Madonne, Santi, cardinali, vescovi, sacerdoti. Busti e mezzibusti commemorativi, immagini sacre, ma anche: medaglie, animali, piante, sirene ed altri esseri mitologici. Classe 1974, scultore di professione, con una grande attenzione per il sociale, Vullo inizia a sperimentare la sua indole creativa già da bambino. «Da piccolo giocavo con la plastilina – racconta – non ho mai smesso di farlo». All’età di 22 anni inizia a lavorare nello studio di Disma Tumminello, celebre scultore siciliano, allievo di Geraci e Manzù.

Quattro anni dopo ottiene il diploma di maestro d’arte all’istituto statale d’arte di Palermo e si iscrive alla prima cattedra di scultura dell’Accademia di Belle Arti. «Il professore Tuminello mi suggerì di frequentare l’Accademia. L’esame di ammissione era una prova pratica di modellatura . racconta – tenuta dal professore Peppe La Bruna, attuale direttore dell’Accademia di Venezia. Eravamo tre i candidati all’ammissione per i corsi di scultura, ricordo ancora questo affascinante uomo di piccola statura (La Bruna ndr). Aveva deciso di farci effettuare la copia di un calco bassorilievo in gesso rappresentante un bimbo, figura molto sfuggente poiché dai tratti poco marcati. Ognuno di noi doveva tradurla in plastilina, modellando a mano». Nel giro di mezz’ora Vullo completa l’abbozzo. «Sapendo che dovevo fare dei particolari non facili da realizzare a mani nude, mi rivolsi al professore per avere delle mirette (strumenti di precisione ndr). A quel punto La Bruna mi disse che avevo già finito e fece cenno alle tavole degli altri due candidati: ancora non erano riusciti neppure ad attaccare la prima plastilina sulla tavola che sosteneva il bassorilievo».

Nonostante il talento, dopo un anno di lezioni, disilluso dall’approccio accademico, Vullo lascia Belle Arti e torna nello studio del maestro Tumminello, in via De Spuches numero otto. È lì che, osservando e modellando, lo scultore palermitano perfeziona le sue competenze nel lavoro di materiali diversi. Gesso, marmo, bronzo, terracotta, ceramica, argilla e granito. Di quel luogo ricorda ancora l’odore forte di plastilina che permeava le stanze. «E’ quell’odore che ha fatto di me uno scultore. La plastilina veniva mescolata con il grasso di balena e dava un odore molto forte, strano. Una tecnica ormai perduta – spiega – adesso si mescola con altri oli, olio di lino, ed ha un odore diverso».

Del suo maestro ricorda: «Stava attento ai millimetri, mi misurava le opere col compasso e se non andavano bene mi cancellava tutto. “Rifallo daccapo” mi diceva. Quel fastidio che inizialmente provavo nel vedere distruggere i miei lavori, poi col tempo è svanito. Ho capito che era per il mio bene, per imparare bene. Ogni lavoro rifatto daccapo veniva sempre meglio, nonostante la stanchezza e la frustrazione». Dopo dieci anni al fianco di Tumminello, nel 2006, Vullo comincia a lavorare in modo indipendente.

Le sue opere abbelliscono piazze, Chiese, giardini e parchi in Europa e nel mondo. Tra le commissioni più recenti: il monumento all’emigrante, frutto di un gemellaggio tra Isola delle Femmine e Pittsburg, in California; e il bronzo di dieci metri raffigurante San Nicola, commissionato in occasione del gemellaggio Italia-Russia. Quest’ultimo progetto è purtroppo rimasto bloccato dopo lo scoppio della pandemia. «San Nicola non è stato ancora installato a Mosca, a causa del blocco delle frontiere dovuto alla pandemia di coronavirus. È da un anno che il mio bozzetto, che ha gareggiato con il maggiore degli scultori russi Salavat Chtcherbakov e ha ottenuto i consensi per la sua originalità e minimalismo, attende di essere realizzato».

Ma lo scultore palermitano è speranzoso: «Il mio pensiero va immediatamente al teatro Massimo di Palermo che riporta sotto la trabeazione la frase “L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire”. Io penso che dopo qualsiasi evento bellico o pandemico, come in questo caso, l’uomo rinasca dall’arte». Secondo Vullo questo tempo di pandemia ha fatto riavvicinare l’uomo alle arti. «Durante questo tempo di isolamento – osserva lo scultore palermitano – molti si sono dedicati ad una passione a cui non avevano avuto mai il tempo di dedicarsi. Le passioni che più accarezzano l’anima sono quelle artistiche: la scultura, la pittura, il disegno, il collage e tutte le forme di espressione artistica in cui la manualità è protagonista; non di meno l’arte culinaria».

Vullo rivolge infine un appello a tutti coloro che di manualità non hanno mai brillato. «Sono i più fortunati – spiega – perché non avendo mai potuto esprimersi in modo creativo conservano in loro un potenziale di fantasia e ispirazione visionaria preziosissima per qualsiasi artista e per la sua ispirazione». «Immaginiamo chi per tanti motivi ha tralasciato da giovane le passioni artistiche e si ritrova a tarda età senza averle espresse ma con un piccolo tesoro – conclude – che non sa a chi lasciare perché le vicissitudini o la dedizione al lavoro lo hanno costretto alla solitudine. Questo tesoro di idee e anche di opportunità economiche possono avere uno sbocco realizzativo». È per consentire al semplice cittadino di un borgo, paese o città di donare e vedere realizzata e installata una scultura monumentalistica, che Vullo ha in mente di creare la fondazione Arte per il futuro «un’associazione di artisti pronti a lavorare per l’arte del futuro, un’arte che non è effimera, che lasci un segno, divenga storia dei luoghi e meta turistica».

Maria Vera Genchi

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