La polizia ricostruisce la cattura di Brunno Il latitante: «Complimenti, bravi davvero»

«Vi faccio i miei complimenti per l’arresto. Bravi davvero». È quanto avrebbe detto Sebastiano Brunno ai poliziotti italiani, subito dopo la cattura avvenuta a San Pawl Il Bahar, una cittadina a 17 chilometri dalla capitale dell’isola di Malta, La Valletta. È finita cosi dopo cinque anni e mezzo la latitanza del boss Brunno, leader incontrastato del clan Nardo attivo nella zona del Siracusano e strettamente collegato ai Santapaoliani. Ad illustrare i dettagli di una operazione investigativa che ha portato alla cattura del 56enne soprannominato Neddu ‘a crapa, i questori di Catania e Siracusa, rispettivamente Salvatore Longo e Mario Caggegi, i responsabili della Squadra Mobile del capoluogo etneo e aretuseo Antonio Salvago e Tito Cicero, e il funzionario dello Sco (Servizio centrale operativo) Alfonso Iadevaia.

Il boss, inserito nell’elenco dei 100 latitanti più pericolosi, si era dato alla macchia a marzo del 2009 quando era stato colpito da un ordine di carcerazione della procura generale di Catania, dovendo espiare la pena dell’ergastolo per associazione per delinquere di stampo mafioso ed omicidio: l’uomo ammazzato era Nicolò Agnello, ucciso nel 1992 a Lentini nell’ambito della faida tra le cosche mafiose antagoniste Nardo e Di Salvo. Cinque anni dopo, la cattura di Brunno è avvenuta senza l’aiuto di un collaboratore di giustizia, ma attraverso la classica attività di polizia.

 

Da quanto ricostruito Brunno, sentendosi braccato dalla polizia, avrebbe abbandonato la Sicilia all’inizio del 2014 per rifugiasi a Malta. La trappola per il boss scatta martedì mattina: i poliziotti seguono un fiancheggiatore che da Catania prende un aereo per recarsi a Malta. Quest’ultimo, giunto a La Valletta, prende un taxi e si dirige a San Pawl Il Bahar. L’uomo scende un chilometro prima dell’abitazione a tre piani dove aveva trovato rifugio il boss dei Nardo. Ogni suo passo è seguito dai poliziotti italiani che hanno agito in stretta collaborazione con i colleghi di Malta. La pazienza degli agenti di polizia che si erano appostati nei pressi dell’edificio viene premiata poco prima delle 13.30, quando Brunno e il fiancheggiatore si stanno per avviare a pranzare in un ristorante. I due vengono bloccati dai poliziotti, il latitante mostra un documento falso con la sua foto ma le generalità di un palermitano di 49 anni. Tuttavia il boss vistosi in trappola non ha battuto ciglio, facendo alla fine i complimenti alle forze dell’ordine.

La latitanza di Brunno sarebbe stata dispendiosa per il clan Nardo, il quale ha intensificato le azioni estortive nelle zone di Lentini, Augusta e Carlentini con lo scopo di proteggere e supportare il loro capo ed evitare la sua cattura, mantenendo economicamente tutta la famiglia Brunno. Il boss è un personaggio di spicco di un clan con forti interessi criminali nella zona del lentinese: «I Nardo- ha evidenziato Antonio Salvago – sono la cerniera storica dei Santapaola per quanto riguarda la zona di Scordia». La cosca, per evitare di essere intercettati e continuare ad aver precise disposizioni del capo, aveva organizzato contatti dal vivo, tra Brunno e i suoi messaggeri. Il fiancheggiatore beccato con Brunno si sarebbe recato a Malta almeno due volte al mese. Al momento non vi è stato nessun provvedimento nei confronti dell’uomo.

Sono in corso ulteriori indagini, che riguardano non solo l’indagato ma anche diverso materiale ritrovato nel corso della perquisizione della casa dove abitava Brunno: un cellulare con una sim maltese, un pc portatile e la carta d’identità. Sequestrata una somma di mille e cinquecento euro ben conservata nell’appartamento, dotato di tutti i comfort. Non era la prima volta che Brunno viveva un periodo di latitanza. Era stato catturato prima del 2000, dopo due anni uscì dal carcere per decorrenza dei termini di misura cautelare. Nel 2009 fu spiccato l’ordine di carcerazione della procura generale di Catania, ma sfuggì all’arresto.  «Nel giugno del 1999 – ha detto Tito Cicero – era stato arrestato insieme ai fratelli Giuseppe e Paolo Furno nelle campagne di Carlentini. In quella stessa circostanza promise ai poliziotti che la prossima volta non sarebbe stato così facile prenderlo».

Salvatore Caruso

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