Massimo Buda e Mimmo Passalacqua sono gli ultimi due nomi venuti fuori che legano la società che gestisce i collegamenti tra Sicilia e Calabria alla criminalità organizzata. Per i prossimi sei mesi, l'amministrazione della holding sarà controllata dal tribunale
La permeabilità della Caronte&Tourist alla ‘Ndrangheta Gli arancini sul traghetto pagati alle cosche calabresi
Arancini al sapore di ‘Ndrangheta. L’ultima pesantissima ombra nei confronti della compagnia di trasporti marittimi Caronte&Tourist passa da uno dei simboli del percorso di avvicinamento alla Sicilia attraverso lo Stretto. Un rito che per molti si ripete indipendentemente dalla voglia di cibo o dall’apprezzamento del palato. La società dei Matacena e Franza – le famiglie calabrese e messinese che, da oltre mezzo secolo, collegano Villa San Giovanni a Messina – e a cui, da qualche tempo, si è aggiunta anche una srl italiana controllata al cento per cento dalla lussemburghese Ulisse Lux s.a.r.l, da ieri è in amministrazione controllata su disposizione del tribunale di Reggio Calabria. Una misura dal forte impatto che, in qualche modo, cristallizza anni e anni di dichiarazioni di collaborazioni di giustizia e riscontri investigativi. La holding è legata inevitabilmente anche al nome di Amedeo Matacena, l’ex parlamentare di Forza Italia condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e, da anni, latitante a Dubai.
L’ex politico è figlio dell’armatore che, a partire dal 1965, iniziò a collegare con le navi i porti di Messina e Reggio Calabria, per poi nel giro di poco tempo ritrovarsi la concorrenza dei Franza e della loro Tourist Ferry Boats. Una rivalità che per ragioni di convenienza e quieto vivere, qualche decennio dopo, si tramuterà in cartello e poi in una sostanziale fusione tra le due società. Prima di quel momento, i due rami dei Matacena – Elio e Amedeo senior – si separano, con il secondo che formalmente non si occupa più di navigazione. Tuttavia, secondo molti esponenti delle cosche calabresi, l’erede Matacena jr, il futuro onorevole e poi latitante, del servizio di quelle navi ne avrebbe continuato a usufruire. Ma non per viaggiare. «Estorsioni? Erano uno scambio elettorale», ha affermato senza esitazioni il collaboratore Giuseppe Liuzzo ai magistrati. Ma le promesse di favori avrebbero riguardato anche l’impegno ad aggiustare processi in Cassazione e l’impegno per trasformare Giuseppe Aquila da semplice barista della Caronte a vicepresidente della Provincia di Reggio Calabria, in quota Forza Italia. Per poi venire arrestato, a fine anni Novanta, con la pesante accusa di essere legato alla famiglia ‘ndranghetista dei Rosmini.
Per i magistrati della Dda di Reggio Calabria, però, la ‘ndrangheta starebbe sui traghetti anche nel presente. «Sussistono più che sufficienti indizi – si legge nel provvedimento del tribunale – della permeabilità della Caronte&Tourist a infiltrazioni della criminalità organizzata». A finire sotto la lente degli investigatori sono stati il 42enne Massimo Buda, figlio del boss Santo, e Mimmo Passalacqua, entrambi ritenuti contigui alla cosca Buda-Imerti.
Buda, al quale sono stati sequestrati diversi beni immobili anche in Lombardia, oltre a essere riuscito a fare carriera all’interno della holding della navigazione come dipendente, avrebbe beneficiato della possibilità di controllare l’affidamento dei servizi per la disinfestazione e derattizzazione delle navi alla società Carist del cognato Cristiano Teodoro (non toccato dal provvedimento) e di quelli riguardanti i servizi di prenotazione forniti dalla Cam Service. Passalacqua, oggi in pensione ma anche lui con una carriera nella compagnia, dalla Caronte&Tourist avrebbe ricevuto grande considerazione. Anche dopo essere stato condannato in primo grado a 16 anni per l’appartenenza alla cosca Buda-Imerti.
«L’agevolazione – scrive il giudice – è giunta sino al punto di garantirgli la retribuzione senza farlo lavorare e si è palesata con la benedizione pubblica del suo ruolo sacralizzato dall’abbraccio concessogli dal dirigente Antonino Repaci (non indagato) sul piazzale degli imbarcaderi, in esito alla sua scarcerazione». Ma Passalacqua avrebbe messo le mani anche sui servizi di ristorazione a bordo delle navi. «I suoi interessi economici sono stati garantiti attraverso i servizi di somministrazione di cibi e bevande garantiti alla Caap Service». Nella compagine societaria, oltre allo stesso Passalacqua, c’è anche Giuseppe Campolo, il figlio del defunto boss Bruno Campolo, la cui figura è stata associata da molti collaboratori proprio alla gestione dei bar sulle navi della Caronte. Passalacqua avrebbe avuto un ruolo anche nel settore delle pulizie e delle disinfestazioni. In questo caso la società utilizzata era una cooperativa, la Vep Services. Ad amministrarla, il nipote 32enne Domenico Passalacqua.
«Si tratta di uno strumento che prevede un controllo giudiziario sull’attività dell’impresa, che continua senza alcuna limitazione e senza alcuna modifica dei vertici – ha dichiarato ieri la presidente del gruppo Olga Mondello Franza – Ha come necessario presupposto che l’azienda non sia assolutamente riconducibile a soggetti socialmente pericolosi e che vada anzi affiancata e coadiuvata proprio per evitare il rischio di infiltrazione. Riteniamo – ha aggiunto – di dover rassicurare clienti, dipendenti, fornitori e tutti gli altri stakeholders».