Il 3 gennaio questa testata ha pubblicato la seconda puntata del format MeridioTrotter. Un reportage sugli artisti etnei che cantano in napoletano e su valori e affari che stanno dietro a un mondo poco noto. Due cantanti, Niko Pandetta e Andrea Zeta, non hanno apprezzato i riferimenti ai rispettivi parenti eccellenti: due noti boss mafiosi
La musica neomelodica e «la famiglia offesa» Minacce e denunce dopo il doc di MeridioNews
«La famiglia è venuta offesa». Dopo il reportage di MeridioNews di due settimane fa sulla musica napoletana a Catania le reazioni non si sono fatte attendere. Soprattutto da parte di due degli artisti neomelodici nominati all’interno del servizio: Niko Pandetta e Andrea Zeta. Il primo è nipote del capomafia al 41 bis Turi Cappello e recentemente indagato dalla procura etnea per reati in materia di stupefacenti; il secondo – incensurato – è figlio di Maurizio Zuccaro, boss della famiglia Santapaola-Ercolano, all’ergastolo per diversi omicidi. Due parentele, menzionate nel servizio e, fino a questo momento, mai emerse. Cosa che ha dato il via a una lunga serie di messaggi, di vario genere e tenore, indirizzati alla redazione di MeridioNews e alla nostra giornalista che ha realizzato il mini-documentario, Luisa Santangelo. Tutte cose che, adesso, sono nelle mani della polizia postale di Catania.
Già poche ore dopo la pubblicazione del video, Andrea Zuccaro ha contattato questo quotidiano. «Pezzi di merda, avete usato il mio nome senza alcun diritto, vi farò passare i guai», scriveva nel primo dei tanti messaggi che ci ha scritto. Minacciando di intraprendere azioni legali a tutela del suo nome che sarebbe stato «infangato», perché la giornalista non avrebbe avuto «il diritto di parlare e di dire quelle cose su di me». Sfoghi che hanno presto lasciato spazio a frasi come «Spero di non incontrarvi mai, tanto riconosco i vostri volti tramite Facebook» e all’invito ad aprire «un hot club, così le porcate le fate lì». In mezzo, c’è stata la reazione dell’altro cantante citato: Vincenzo Pandetta ha organizzato, la sera della pubblicazione del video sulla nostra testata, una diretta pubblica sul suo profilo Facebook. Con quasi un migliaio di condivisioni e, fino a questo momento, oltre 101mila visualizzazioni. Tutte persone che hanno seguito il messaggio – da lui stesso definito «abbastanza, un po’ pesante» – veicolato poco dopo.
«Ora vi prenderete tutte le vostre responsabilità per quello che scrivete sia nei miei riguardi sia nei riguardi di qualche altro mio collega. E della famiglia, perché la famiglia è venuta offesa». Del resto, continua Pandetta: «Io sono onorato di chi è mio zio e di quello che è». A seguire, interviene una persona nella stessa stanza: un uomo che si presenta con nome e cognome, Giuseppe Arena, e che fa riferimento al presunto padre della giornalista Santangelo. Che sarebbe un «bombolaio», diventato ragioniere e arrestato tre volte per buste paga false. Un uomo a cui «ci spaccamu a testa», promette Pandetta. Notizie, quelle sulla fantasiosa parentela della nostra giornalista, che apprendiamo dalla loro diretta Facebook e che possiamo definire bufale senza timore di smentita.
È anche in questo clima che vanno lette le reazioni della maggior parte delle persone intervistate nel mini-documentario. Le quali, dopo avere inizialmente condiviso sui propri canali social il nostro servizio, hanno poi rimosso ogni riferimento. Aggiungendo, sulle bacheche pubbliche di Zuccaro e Pandetta, messaggi di dispiacere e attestazioni di «rispetto» nei confronti delle famiglie dei due artisti. I commenti sono arrivati a centinaia, e migliaia sono state le visualizzazioni sui social network. Parecchie delle quali è difficile tracciare, poiché disperse tra pagine fan, gruppi Facebook e profili privati. Uno degli obiettivi, comunicato da Zuccaro alla nostra redazione, era raggiungere un numero sufficiente di segnalazioni della pagina Fb del giornale per contenuti inappropriati. In modo da ottenere la chiusura di questo quotidiano.