La morte del poliziotto Nino Agostino Il padre:« È stato un omicidio di Stato»

«L’assassinio di mio figlio non è stato un semplice omicidio di mafia, ma è stato un omicidio di Stato. Ci sono molti uomini corrotti, molte mele marce nelle istituzioni, che hanno interesse che la verità non venga mai a galla». Vincenzo Agostino, papà di Nino, il poliziotto ucciso nel 1989 a Villagrazia di Carini, nel palermitano, assieme alla moglie Ida Castelluccio, non usa giri di parole. Per lui la condanna a morte del figlio è legata al fallito attentato all’Addaura a Falcone. «Aveva scoperto qualcosa, per questo è stato eliminato» assicura. 

Dell’omicidio di Nino si è tornato a parlare nei giorni scorsi in occasione del nuovo processo per l’attentato a Giovanni Falcone, davanti alla corte d’Assise a Caltanissetta. Davanti ai pm, l’ex dirigente del commissariato San Lorenzo di Palermo, Saverio Montalbano. Le sue affermazioni, però, non hanno convinto del tutto Vincenzo che dal giorno del violento omicidio ha deciso di non radersi più, in segno di protesta. Fin da subito «i depistaggi» sull’assassinio di Nino, a partire dalla matrice passionale dell’omicidio, la prima battuta dagli inquirenti, hanno convinto il padre che la verità non sarebbe venuta facilmente a galla.

Montalbano ha raccontato che dopo l’omicidio di Agostino, nella camera ardente allestita al commissariato di San Lorenzo, venne anche il giudice Falcone che gli disse «questa di Agostino è una cosa fatta contro di me e contro di te». «Pensai, in cuor mio, a un riferimento ai continui attentati contro uomini dello Stato» ha spiegato l’ex dirigente del commissariato San Lorenzo. Una versione che lascia perplesso il papà di Agostino. «Io so con certezza – prosegue – che Falcone quel giorno, nella camera ardente, disse “devo la vita a queste due bare“. Me l’ha riferito la mamma del giudice Falcone». 

Ma Agostino rifiuta anche le affermazioni sui presunti rapporti con il professore Volo. Montalbano durante la sua deposizione, infatti, ha aggiunto che l’ispettore La Monica, che aveva fatto turni di pattuglia con Nino Agostino, gli raccontò «che questi aveva collaborato o che aveva contatti con i Servizi segreti. E che il suo contatto con quegli ambienti era Stefano Alberto Volo. Un docente, aveva una scuola nella zona di San Lorenzo, un conclamato estremista di destra». Anche in questo caso Agostino rimane perplesso, al punto da proporre di parlare con La Monica. «Allora – dice – La Monica mi disse che mio figlio gli chiese aiuto per una grossa operazione, ‘un colpo grosso‘, e lo ha riferito anche ad altri, è agli atti. Per quel che ne so, Volo era un professore di matematica, a cui mio figlio aveva chiesto una aiuto per la moglie di un collega». 

Ma Vincenzo non si stupisce, non è la prima volta che alcuni fatti vengono distorti. «Sono tanti i casi di depistaggi sulla morte di mio figlio, persino del finto testimone Vincenzo Scarantino, al quale fu chiesto di addossarsi anche l’uccisione di Nino e della moglie. Oggi posso dire che mio figlio era un grandissimo uomo, che ha indossato la divisa con onore, mentre ci sono altri suoi colleghi che sanno ma non parlano».

Vincenzo, però, non ha perso la speranza che possa essere fatta piena luce sul sacrificio del figlio, anche se ripone più fiducia nei giovani. «Credo in loro, quando viaggio per il Paese mi ascoltano, mi sono vicini. Le stragi, le morti, le trattative devono terminare e solo i giovani possono cambiare le cose». E nelle istituzioni crede più? «Le persone che ricoprono ruoli di potere non vogliono cambiare perché sono vecchi volponi, sono attaccati alla poltrona. L’assassinio di mio figlio non è un semplice omicidio di mafia, a quest’ora si sarebbe saputo, ma è un omicidio di Stato. Ci sono molti uomini corrotti, molte mele marce nello Stato, che hanno interesse che la verità non si venga mai a sapere».


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Dal giorno della morte del figlio ha deciso di non radersi più, in segno di protesta. Per lui ci sono «molte mele marce nelle istituzioni, che hanno interesse che la verità non venga mai a galla». Dell'agente ucciso nel 1989 a Villagrazia di Carini nel palermitano insieme alla moglie si è tornato a parlare durante il nuovo processo per l'attentato a Giovanni Falcone, in corso davanti alla corte d'Assise a Caltanissetta. 

Dal giorno della morte del figlio ha deciso di non radersi più, in segno di protesta. Per lui ci sono «molte mele marce nelle istituzioni, che hanno interesse che la verità non venga mai a galla». Dell'agente ucciso nel 1989 a Villagrazia di Carini nel palermitano insieme alla moglie si è tornato a parlare durante il nuovo processo per l'attentato a Giovanni Falcone, in corso davanti alla corte d'Assise a Caltanissetta. 

Dal giorno della morte del figlio ha deciso di non radersi più, in segno di protesta. Per lui ci sono «molte mele marce nelle istituzioni, che hanno interesse che la verità non venga mai a galla». Dell'agente ucciso nel 1989 a Villagrazia di Carini nel palermitano insieme alla moglie si è tornato a parlare durante il nuovo processo per l'attentato a Giovanni Falcone, in corso davanti alla corte d'Assise a Caltanissetta. 

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