La missione difficile del Cardinale Romeo

Le recenti e fantasiose illazioni che hanno proiettato sui giornali di tutto il mondo il nome del Cardinale Paolo Romeo rendono utili alcune considerazioni su quanto sta accadendo in questi mesi sui media con riferimento allo Stato della Città del Vaticano, troppo spesso confuso tout court con la Chiesa Cattolica Universale, con l’obiettivo non troppo nascosto di neutralizzarne l’azione.
In realtà, si tratta di storia già vista, e non solo nel corso del XX secolo, poiché la più antica e duratura organizzazione di cui il mondo abbia mai fatto esperienza è costantemente sotto i riflettori benevoli o meno e, indubbiamente, fa notizia. Lo hanno compreso bene tutti coloro che nei secoli sono riusciti a far sapere di sé solo contrapponendosi alla Chiesa, ben sapendo che, viceversa, il proprio messaggio non avrebbe avuto alcuna eco.
La Chiesa è per i credenti molto più che una realtà temporale. Essa, che non a caso si definisce Corpo Mistico, non è la rappresentazione o la rappresentanza di Dio sulla terra – una sorta di ambasciata – quanto piuttosto la sua dimensione sensibile e umana, in quanto istituita proprio dal Dio fatto Uomo, Gesù Cristo. In quanto tale le è stata garantita una durata legata a quella dell’Umanità. Cioè, finché ci sarà l’Umanità ci sarà la Chiesa. Quando verrà la fine dei tempi, della Chiesa non ci sarà più bisogno perché la piena identificazione con Dio Padre sarà realizzata nella Parusia.
E’ comprensibile che per quanti non hanno il dono della Fede, le precedenti affermazioni siano assimilate alle più ardite fantasie, con la differenza che alcuni si limitano a prenderne atto con scetticismo ed altri ne fanno l’obiettivo di strategie di contrasto, rese possibili perché, diversamente da altre religioni anche numericamente più rilevanti come l’islamismo, la Chiesa di oggi è l’erede di un vero e proprio regno temporale durato secoli, esteso territorialmente, dotato di un esercito e, ancora oggi, di un corpo diplomatico accreditato in tutto il mondo. Chi la guida non ha la disarmante povertà materiale del Dalai Lama, né l’apparente inoffensiva immagine del Gran Muftì.
Ogni attacco alla Chiesa è dunque molto facile, soprattutto quando si decontestualizzano fatti e persone e si giudicano gli uni e le altre con il livello di cultura, civiltà e consapevolezza che parte del mondo ha frattanto raggiunto.
In anni più recenti molti elementi non sono stati perdonati alla Chiesa da molti laici e da non pochi cattolici: l’aver contribuito ad indebolire l’Unione Sovietica sino al crollo del Muro di Berlino, l’essere stata un attore finanziario mondiale non secondario e “disinvolto”, l’essersi opposta con ogni mezzo ad ogni genere di soluzione medico/scientifica che interferisse con la naturalità della nascita, della sessualità e della morte, l’aver preteso di trovare “soluzioni interne”, sovente poco efficaci, al fenomeno dell’omosessualità e della pedofilia di propri esponenti, il non avere sostenuto propri presuli o semplici sacerdoti che si fossero schierati con i più poveri soprattutto in Sud America in nome di una dottrina considerata “eretica” quale la Teologia della Liberazione. Infine, soprattutto in Italia, alle precedenti accuse si sono aggiunte il fastidio dell’8 per mille, di cui la Chiesa è il maggior percettore, e talune esenzioni fiscali, specie sugli immobili non strettamente legati al culto.
Il passaggio di testimone da Giovanni Paolo II, inattaccabile sul piano mediatico e politico, a Benedetto XVI – più esposto, a motivo del proprio carattere e di un’immagine complessiva non paragonabile a quella del suo predecessore, ad essere criticato, mal interpretato, a volte deriso – ha fatto divampare una strategia di contrasto, senza precedenti, assistita persino da disinvolta letteratura e dalle conseguenti riduzioni cinematografiche. Si pensi che non un giornale nazista degli anni 40, regime fortemente avverso al Cattolicesimo e del cui Capo più volte meditò la cattura, ma uno italiano del XXI secolo (Il Manifesto, 2005) ebbe a definirlo, appena eletto, con spregio “Pastore Tedesco”.
Sui Papi gli italiani sono sempre andati, come spesso nel carattere nazionale, “a simpatia”. Hanno letteralmente idolatrato il buon nonno Giovanni XXIII e snobbato l’algido Paolo VI, hanno pianto per il timido Giovanni Paolo I, sono stati conquistati dall’energia Giovanni Paolo II e, in maggioranza, sono intimoriti da Benedetto XVI per quell’intransigenza che, in nulla dissimile nella sostanza da quella suo Predecessore ma diversamente manifestata, mal sopportano nel tempo del relativismo imperante e del laicismo d’accatto.
Lasciamo ad un più ampio futuro approfondimento la dimensione universale della Chiesa per analizzarne una più vicina e percepibile.
Dopo alcuni grandi Cardinali che hanno segnato la storia di Palermo nel passato remoto, da Gualtiero Offamilio (Walter of the Mill, precettore di Gugliemo II) al Cardinal Alessandro Lualdi (1904), al Cardinal Luigi Lavitrano (1924), gli ultimi 60 anni hanno visto avvicendarsi alcune personalità diversissime per temperamento, influenza e stile d’intervento sulla vita della Città. Chi scrive è nato quando sulla Cattedra di San Mamiliano (primo, e unico, Vescovo Santo di Palermo) sedeva dal 1945 il Cardinale Ernesto Ruffini, uomo e vescovo del proprio tempo e, quindi, profondamente consapevole del reale (allora) pericolo comunista e grande promotore e protettore di quella Democrazia Cristiana che si contrapponeva ad esso come una diga, specie in una Sicilia arretrata e controversa dove l’unica voce libera ed intellettualmente onesta era quella di Danilo Dolci e proveniva da un’azione “utopistica” non violenta e disinteressata verso gli ultimi. Ruffini, che sempre combattè l’uso stumentale dell’antimafia in politica, nella società e nella Chiesa, fu un grande realizzatore di opere sociali e modellò più di una generazioni del Clero a propria immagine. Lasciò, unitamente ad un nipote mantovano recentemente scomparso ma che ebbe lunga vita politica, un’eredità complessa e controversa su cui ancora gli storici stanno lavorando e il suo successore il Cardinale Francesco Carpino la trovò talmente pesante da rinunciarvi, chiedendo di essere destinato altrove, dopo appena tre anni. Chi gli fu giovanissimo segretario ne ricorda ancora la mitezza, quella stessa che anni dopo si sarebbe letta sul volto di Giovanni Paolo I nei trentatré giorni che gli furono dati per “regnare”.
La complessa situazione siciliana trovò sbocco nel 1970, con la designazione del giovane ed energico Monsignor Salvatore Pappalardo, proveniente dalla diplomazia vaticana ed elevato alla porpora cardinalizia dopo 27 mesi dall’insediamento.
Il Cardinale Pappalardo trovò una Palermo già inoltrata nella tribolata fase di transizione di equilibri politici, nella piena mutazione del fenomeno mafioso, nel progressivo crollo di una classe dirigente che, sostanzialmente, non aveva conosciuto soluzione di continuità dal Fascismo sino ad allora, essendo mancata nell’Isola amica degli Stati Uniti, una anche minima forma di epurazione dei gerarchi che transitarono rapidamente soprattutto nella DC.
L’azione di Pappalardo non fu subito quella “politica” che conosciamo e che recentemente Fabrizio Lentini ha ben descritto nell’apprezzatissimo volume dedicato a La primavera breve. Le prime iniziative furono pienamente ispirate al Concilio Vaticano II e si espressero attraverso un forte riconoscimento del ruolo del laicato e in significativo stimolo a spingere la Chiesa tra le braccia dei poveri, attraverso l’istituzione della Missione Palermo, affidata al gesuita Padre Angelo La Rosa ed a centinaia di giovani che vi operarono con entusiasmo. In quegli anni si formarono presbiteri fortemente motivati e pronti al martirio, come Padre Pino Puglisi.
E’ noto il ruolo che Pappalardo ebbe negli anni decisivi della lotta alla mafia e scolpite nel tempo le parole importanti che pronunciò nei troppi funerali di Stato che presiedette e che indussero, per la prima volta nella storia della Sicilia, un Papa a lanciare il più grave anatema che la mafia abbia mai ricevuto.
Il progressivo peggioramento delle condizioni di salute e un crescente sentimento di preoccupazione oltre Tevere, per l’eventualità di una sua possibile elevazione al soglio pontificio, ne ridussero progressivamente la visibilità e lo accompagnarono in tono minore sino al “pensionamento”. Egli restò comunque un riferimento forte per i cattolici palermitani impegnati nel sociale e in politica, durante gli ultimi anni che volle trascorrere nell’Oasi di Baida, meta costante di quanti fossero alla ricerca di un consiglio o di un orientamento “burbero” ma mai ambiguo.
E’ giusto ricordare come in molti ambienti cattolici, la vigilia della nomina del successore di Pappalardo fu motivo di ansia e di timori. Chi scrive fu testimone delle preoccupazioni di Padre Ennio Pintacuda e di altri esponenti del clero più illuminato e impegnato nella tutela della Legalità e anche della speranza che a raccogliere l’eredità impegnativa di Pappalardo fosse proprio l’attuale Arcivescovo, di cui erano noti il vigore intellettuale e una notevole indipendenza di pensiero, unite ad un’esperienza consolidata in luoghi del mondo piegati da poteri politici ed economici e animati da forti richieste di giustizia sociale.
Troppo per una Conferenza Episcopale Italiana presieduta dal Cardinale Camillo Ruini, già “provata” dalla levatura dell’Arcivescovo di Palermo ‘uscente – protagonista del convegno nazionale delle Chiese d’Italia svoltosi a Palermo nel 1985 – e da anni impegnata in un mai esplicitato progetto politico dei cattolici, negato definitivamente lo scorso anno, ma che riappare adesso anche dietro le quinte del Governo Monti..
Palermo doveva essere ‘normalizzata’ e il suo Arcivescovo doveva garantire tale processo. Fu così che la sede fu assegnata nel 1996 a Monsignor Salvatore De Giorgi, già assistente Generale dell’Azione Cattolica, presule di provata obbedienza e poco incline a varcare i limiti di una Pastorale abbastanza inoffensiva e, in ogni momento, conforme anche letteralmente al Magistero del Pontefice. Ricevette fulmineamente la porpora dopo circa 18 mesi dall’insediamento.
Furono anni di sostanziale assenza di larga parte della Chiesa dal dibattito civile e politico della Città, un ripiegamento spirituale e intimistico che, ad avviso di chi scrive, contribuì al consolidamento dell’equazione mondo cattolico=centro destra, con le dovute – ma non influenti – molte eccezioni.
Il decennio 1996-2006 vedrà tramontare movimenti politici come Città per l’Uomo e, poi, La Rete, prevalere al Comune Diego Cammarata e a Palazzo d’Orleans Salvatore Cuffaro, uscire da parrocchie popolari sacerdoti significativi e altri esponenti del Clero protagonisti del rinascimento di Palermo, contingentare la sfera di azione di molti movimenti e associazioni – per anni orientate ad una forte presenza civile – manovrando oculatamente la distribuzione di sedi e la nomina di assistenti ecclesiastici.
Comprensibile, pertanto, nel 2007 l’entusiasmo che la notizia della designazione di Monsignor Paolo Romeo destò tra i cattolici palermitani, unitamente ad un clima di grande attesa dopo anni privi di forti stimoli pastorali e civili. Proveniente da luoghi del mondo in cui si erano consumate tragedie immani, animato da una forte energia umana e spirituale, formatosi come giovane sacerdote nelle file dello scoutismo, diventando assistente regionale dell’AGESCI nel Lazio (esperienza evidenziata della sua biografia pubblica e a cui tiene moltissimo), l’annunzio del suo episcopato ha riacceso la speranza e riannodato fili che apparivano spezzati.
Immediatamente, però, si è messa in moto una ‘macchina’ ben rodata volta a ridurne l’eccezionale potenziale. Quasi subito è stata diffusa la notizia di un documento sottoscritto e volto a promuovere una consultazione tra i Vescovi, in occasione della scadenza dal mandato di Presidente della CEI del Cardinale Camillo Ruini. Il documento fu fortemente strumentalizzato in danno di Romeo.
Va notato come la porpora cardinalizia fu concessa a Monsignor Romeo, quasi quattro anni dopo l’insediamento e solo successivamente alla visita del Papa a Palermo, segnale molto preciso di una prudenza/diffidenza che stava però per sconfinare nello scandalo, vista la rilevanza della sede episcopale ricoperta e del contemporaneo ruolo di Primate della Sicilia. Una prudenza, al tempo stesso, tornata ‘utile’  all’attuale Presidente della Regione, che è stato forse risparmiato da più incisivi strali episcopali, al punto da lasciare immaginare inesistenti forme di appoggio o consenso.
Questi ed altri avvenimenti hanno a mio avviso ritardato la pienezza dell’azione del Presule e, forse, in qualche modo, limitato il suo vigore e la sua grande (troppa evidentemente secondo alcuni) autonomia intellettuale. Ora, alla vigilia di eventi importantissimi per la Sicilia, la sua posizione viene nuovamente attaccata ricorrendo ad una delle più colossali bufale giornalistiche mai diffuse ed attribuendogli addirittura la “profezia” di una prossima scomparsa del Papa, vaticinata durante un viaggio privato in Cina. La notizia, negata ufficialmente dalla Curia e ribadita come assurda a chi scrive da fonti estremamente attendibili, è stata abilmente accostata da alcuni media a recenti rivelazioni circa le “consuete” irregolarità finanziarie del Vaticano e all’allontanamento del moralizzatore Monsignor Carlo Maria Viganò dal Governatorato , ottenendo un immediato effetto di cassa di risonanza.
Pare utile, a questo punto, fare due calcoli: il Cardinale Romeo ha ancora avanti a sé uno-due anni di mandato quale arcivescovo di Palermo (il “pensionamento” canonico scatta al compimento del 75° anno), ma anche altri 5 per poter accedere al Conclave da elettore ed eleggibile e non è da escludere che sulla sua persona possano essere convogliati consensi di cardinali che ritengono urgente, dopo un trentennio indubbiamente tradizionalista, tornare allo spirito del Concilio, se non addirittura a promuoverne uno, dopo gli oltre cinquant’anni che hanno trasformato il mondo, come mai nella storia dell’Umanità.
In Sicilia si giocheranno, nei prossimi mesi, partite importantissime al Comune e alla Regione che influenzeranno, come sempre, lo scenario nazionale. Basterebbe molto meno per mandare a Paolo Romeo messaggi precisi di intimidazione, nel felpato stile vaticano. Basterebbe poco a trasformare una speranza che i cattolici democratici palermitani hanno coltivato a lungo, in un’ennesima frustrazione.
Di tali elementi quali cattolici democratici, ovunque militanti, dobbiamo sentirci responsabili e soprattutto saper costruire intorno ad un Vescovo come Paolo Romeo uno spirito di reciproca fiducia che restituisca a noi e a Lui rinnovata energia e voglia di futuro, nel segno di quel “Non abbiate paura” pronunziato in terra di Sicilia e che mai dimenticheremo.

 


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