La memoria? E’ un cantiere aperto

Ricordare Pippo Fava lavorando. Questo, secondo quanti erano presenti lunedì sera all’incontro organizzato da Cittàinsieme dal titolo “Lavori in corso”, è il modo migliore per continuare l’impegno del giornalista ucciso 25 anni fa dalla mafia. Il passato rimane sullo sfondo, inciso nelle coscienze e nelle menti di tutti. È il momento di parlare di presente e, soprattutto, di futuro dell’informazione a Catania.

Un centinaio di persone che straripavano fuori dalla sala, un pubblico attivo perché, chi era lì c’era per progettare qualcosa che possa dare respiro ad una città asfissiata dal monopolio dell’informazione ufficiale. Ufficiale, perché quella “libera” – che alcuni hanno definito “clandestina” – a Catania c’è. Esiste nella periferia: a Librino, Villaggio Sant’Agata e San Giorgio, a San Cristoforo, ma anche sul web.

Numerose le testate presenti: La Periferica, I Cordai, Step1, Catania Possibile, Ucuntu e Casablanca. Insieme al di là delle ideologie, delle differenti matrici, dei variegati contesti e dei multiformi canali, in nome di quella che qualcuno definisce, ricordando le parole di don Tonino Bello, «la convivialità delle differenze».  Ognuno racconta la propria esperienza, delineando una rapida storia del progetto, esaltando con il giusto orgoglio i punti di forza e ammettendo, con lucidità, limiti e mancanze.

I giornali La Periferica e I Cordai operano in quelli che a Catania vengono definiti quartieri difficili. Giovanni Giuffrida de La Periferica racconta che quest’iniziativa “è nata per dare la possibilità alle persone del quartiere di conoscersi. Sul nostro giornale si parla della quotidianità e delle tante cose belle che ci sono a Librino, ma vengono anche pubblicati articoli di denuncia. Dopo un primo anno in cui abbiamo ricevuto finanziamenti dalla Caritas, adesso proviamo a finanziarci attraverso la pubblicità dei commercianti della zona”. A San Cristoforo opera una free press che racconta il quartiere tra luci ed ombre della città catanese. “I Cordai prende il nome dalla strada in cui ha sede l’associazione Gapa ed è il frutto di un lungo percorso ”, afferma Giovanni Caruso. Giornali che vivono e raccontano la periferia troppo spesso dimenticata, se non nel periodo delle elezioni politiche.

Da più parti si invoca una svolta. “Prima di parlare del monopolio dell’informazione a Catania, parliamo di quello che possiamo realizzare noi insieme. Non lasciamo sole le persone che ci provano. In questa città non è difficile tanto scrivere, quanto proprio parlare di qualcosa che infastidisce i potenti” dice Marco Benanti di Catania Possibile, giornale che ha dovuto superare molti ostacoli prima di accedere ad una regolare registrazione.

Non è stato un raccontarsi sterile, autocelebrativo, come spesso accade, ma un condividere le esperienze per cercare di legare, di venirsi incontro e fare rete. La volontà di uscire dal proprio recinto, di realizzare un progetto ambizioso e concretamente alternativo, di raggiungere la gente della strada ma anche i giovani, gli studenti, tutti i catanesi, è unanime. Riccardo Orioles, punto di riferimento di molte delle testate catanesi, sintetizza il progetto in maniera ambiziosa: “Dopo 25 anni stiamo lavorando ad una vera alternativa a La Sicilia. Forse quest’idea non è più utopia. Ci sono diversi gruppi di giovani con idee. Non si vedeva una manifestazione a Catania come quella dell’Onda da decenni”. Orioles si sofferma però sull’aspetto tecnico e del linguaggio, che a suo avviso costituisce uno dei limiti di molte di queste esperienze: “Il movimento ha buone idee, ma ora sta rifluendo perché si fa fatica a comunicare. Bisogna imparare la cultura della comunicazione, seguendo l’esempio dato da Pippo Fava, e cioè attraverso un linguaggio comune e popolare. Il video di una vecchietta che lancia dei fiori sugli studenti è comunicativo. Un articolo in politichese no”.

Ad interrompere la discussione ‘catanese’ ci pensa il vulcanico Pino Maniaci, conduttore della piccola tv Telejato che trasmette nei paesi di Partinico, Cinisi, Corleone e San Giuseppe Jato. Pochi minuti che mischiano irriverenza, semplicità, amara ironia, forza e verità. Una breve storia per sottolineare che la mafia attecchisce su una matrice comune: l’apatia e la mancanza di indignazione.

Semu ‘n menzu a ‘na strada. Non c’è reazione e non c’è indignazione del popolo; è una cosa vergognosa. Dobbiamo indignarci altrimenti è la fine”. Indignarci a Palermo come a Catania, nonostante qualcuno continui a rappresentare questa parte della Sicilia in termini edulcorati, misurando il livello di mafiosità con arcaici codici d’onore e dividendo una Sicilia mafiosa da un’altra ‘soltanto’ criminale.

Ucuntu e Step1 raccontano la loro esperienza online. Claudia Campese ha spiegato che “Step1 è un giornale universitario e una palestra di giornalismo, dove l’obiettivo non è fare controinformazione, ma imparare a guardare le storie nella loro globalità, sotto tutti i punti di vista, ascoltando tutte le voci interessate. È vero che arriviamo con difficoltà nelle periferie, ma dall’altra parte puntiamo sulla tempestività, tanto che si può dire che il nostro giornale è un quasi quotidiano”. Parlando di nuove tecnologie, Luca Salici del giornale online Ucuntu ha proposto un nuovo metodo di impaginazione, rapido ed efficace: “Noi distribuiamo una versione Pdf del nostro giornale in formato A4. Questo ci ha permesso di fare una rivista settimanale in tempi rapidi e senza spese, perché ogni redattore è in grado di impaginare autonomamente il proprio articolo. Con questo metodo e con questo formato, unendo le nostre esigue finanze, potremmo comprare un vero ciclostile e realizzare un giornale vero per quantità e qualità”.

Il rischio è sempre quello di perdersi in mille e inconsistenti rivoli, ognuno con una propria piccola foce e un’incostante sorgente. La prima tappa, il conoscersi, è alle spalle. Adesso si aspettano ulteriori passi: un coordinamento tra le testate ad esempio, al di là delle militanze e delle ideologie. Il progetto è quello di aiutare Catania ad essere una città veramente libera e democratica, come pensava Pippo Fava venticinque anni fa. La strada, naturalmente, è ancora lunga.


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