La mafia partecipò allo sbarco degli americani in Sicilia nel 1943? Renda e Lupo dicono no

SCELTO DA FACEBOOK

di Gino Pantaleone

Non comprendo ancora la tesi Renda-Lupo i quali sostengono che la mafia non abbia aiutato gli alleati nello sbarco americano e inglese del 3-4 luglio 1943 in Sicilia quando ancora ci sono persone “in vita” che sostengono il contrario.

Il ruolo della mafia nell’operazione HUSKY

Tra gli storici è ancora aperta la diatriba sul ruolo avuto dalla mafia siciliana nella preparazione dello sbarco alleato. Tale diatriba è certamente sostenuta dagli apparati mafiosi perché tendono ad assumersi un merito e un potere che in realtà non potevano ricoprire in quel lontano 1943, perché in Sicilia grazie al prefetto Mori, buona parte delle forze di mafia erano state confinate o incarcerate. Anche se i capi erano rimasti liberi buona parte della manovalanza era stata inibita. A tal proposito molti storici tra i quali Renda e Lupo sgomberano subito il campo da ogni possibile equivoco.

Scrive Lupo: “La storia di una mafia che aiutò gli angloamericani nello sbarco in Sicilia è soltanto una leggenda priva di qualsiasi riscontro, anzi esistono documenti inglesi e americani sulla preparazione dello sbarco che confutano questa teoria; la potenza militare degli alleati era tale da non avere bisogno di ricorrere a questi mezzi. Uno dei pochi episodi riscontrabili sul piano dei documenti è l’aiuto che Lucky Luciano propose ai servizi segreti della marina americana per far cessare alcuni sabotaggi, da lui stesso commissionati, nel porto di New York; ma tutto ciò ha un valore minimo dal punto di vista storico, e soprattutto non ha alcun nesso con l’operazione Husky’. Lo sbarco in Sicilia non rappresenta nessun legame tra l’esercito americano e la mafia, ma certamente contribuì a rinsaldare i legami e le relazioni affaristiche di Cosa Nostra siciliana con i cugini d’oltreoceano”.

Se l’ipotesi che gli “amici degli amici” abbiano avuto un ruolo decisivo nello sbarco angloamericano in Sicilia è da scartare, è tuttavia innegabile che gli alleati si servirono dell’aiuto di personaggi del calibro di Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo per mantenere l’ordine nell’isola occupata e il boss americano Vito Genovese, nonostante fosse ricercato dalla polizia statunitense, divenne l’interprete di fiducia di Charles Poletti, capo del comando militare alleato.

Certamente gli alleati non conoscevano la realtà siciliana e di volta in volta, da paese in paese, cercavano l’interlocutore di maggior prestigio sul piano del potere locale, che era rappresentato invariabilmente dalla mafia, dall’aristocrazia terriera e dalla chiesa che spesso erano tra loro legate da comuni interessi. Non a caso il nome di Calogero Vizzini fu suggerito agli angloamericani dal fratello vescovo, e dal “Movimento indipendentista siciliano” (MIS) nelle cui fila militavano fianco a fianco rappresentanti dell’aristocrazia terriera come Lucio Tasca, nominato sindaco di Palermo e capimafia come Vizzini, Navarra, Genco Russo e l’allora giovanissimo, Tommaso Buscetta.

(Nella foto: Vito Genovese in divisa americana con Salvatore Giuliano. Genevose fu l’autista e l’interprete di Charles Poletti)


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