In un incontro ai Benedettini la dottoressa Agata Santonocito della Dda di Catania e un rappresentante di Addiopizzo tracciano lattuale profilo del fenomeno mafioso. Cosa Nostra non si vede ma ha effetti devastanti. E penetra ovunque, corrodendo il recipiente che la contiene
La mafia? È come il vento e lacqua
“Dobbiamo conoscere per comprendere il fenomeno mafioso”. Con questa frase Agata Santonocito, sostituto procuratore della DDA di Catania, ha cominciato lunedì mattina la presentazione della sua relazione intitolata “L’organizzazione territoriale delle famiglie mafiose catanesi”, tenutasi nel Coro di notte dell’ex Monastero dei Benedettini di Catania. Presente anche Salvo Fabio, rappresentate dell’associazione AddioPizzo Catania, che ha organizzato l’evento.
Ad introdurre un intervento di Fabio, il quale ha ricordato che AddioPizzo “nasce nel 2006, sulla scia dell’omonima associazione palermitana” e ha parlato dei progetti che cerca di portare avanti: “Il più importante è il Consumo Critico: creare una rete di consumatori i quali sostengono i commercianti che denunciano gli estorsori. Il nostro è un impegno molto duro. A tal proposito stiamo raccogliendo delle firme e contiamo di arrivare alle 3000 partecipazioni. Tra qualche mese speriamo di pubblicare, anche qua a Catania, la lista degli esercenti coraggiosi”. Fabio ha poi sottolineato l’importanza dell’attività educativa e d’informazione: “Andiamo nelle scuole a parlare con i ragazzi, lì c’è una situazione veramente drammatica. I siciliani sono bravi a fare le vittime: basta loro commemorare una volta all’anno la strage di Falcone e Borsellino, e sentirsi con la coscienza a posto per i restanti giorni. La mafia ci riguarda da vicino e per questo non dobbiamo tacere”.
La dottoressa Santonocito spiega che cos’è, in termini giuridici e pratici, un’associazione a delinquere di stampo mafioso. Essa si differenzia da un’associazione a delinquere semplice per due aspetti fondamentali: il merito e lo scopo. Il merito consiste nell’avvalersi del vincolo associativo, più precisamente “la forza del gruppo è nel gruppo stesso e nel singolo”. Quando, infatti, si pensa di fare un torto ad un solo componente del gruppo, in realtà lo si fa al gruppo nel suo insieme che quindi agisce come un unico organismo. Da qui “l’omertà e l’assoggettamento della popolazione”. Il secondo aspetto è lo scopo. Non si tratta solo di commettere reati quali estorsioni, rapine, commercio di droga, ma soprattutto di infiltrarsi nel tessuto della società, nell’ambito economico e politico in particolare. Questo per poter in primo luogo reperire denaro, ma soprattutto per esercitare sempre maggiore potere sul territorio.
La struttura di Cosa Nostra è molto sofisticata, con un ordinamento simile a quello dello Stato. Si divide su 5 province: Trapani, Palermo, Caltanissetta, Siracusa e Catania. Ogni provincia ha poi al suo interno una sua struttura rigida composta dalla Provincia in cima e dalla famiglia alla base. A Catania – in particolare – la struttura è meno rigida e più mobile. Dal gruppo centrale, facente capo alla famiglia dei Santapaola, si diramano diversi gruppi cittadini che per alcuni aspetti delle loro attività sono del tutto autonomi, ma al tempo stesso devono rendere conto al gruppo centrale. Ogni gruppo ha un suo reggente, cioè una persona che dirige ed è responsabile. Oltre a questi, esistono numerosi gruppi nell’hinterland della provincia, che prendono il nome dalla famiglia dei reggenti stessi. Questi gruppi sono più autonomi rispetto a quelli cittadini, ma sempre in stretto contatto con quello centrale. In questo sistema le entrate dei vari gruppi servono per diverse attività, quali mantenere le famiglie dei carcerati, acquistare armi, auto, e droga. “Ma a Catania non c’è un gruppo monopolista come a Palermo” precisa la Santonocito. Esistono, infatti, diversi gruppi che non fanno parte di Cosa Nostra. Ci si trova, quindi, ad avere in ogni realtà la contrapposizione, e di conseguenza lo scontro di due fazioni, una facente capo a Cosa Nostra e un gruppo a se stante. “Qui c’è una struttura meno monopolistica e più dinamica con vari gruppi come quello di Picanello e di Villaggio Sant’Agata. Questa rete garantisce il controllo capillare sulla società”.
La dottoressa Santonocito ha poi paragonato la mafia al vento e all’acqua: “È come il vento perché è invisibile pur avendo degli effetti. Negli ultimi anni gli omicidi per mafia sono diminuiti drasticamente; se nel 1996 morivano 116 persone, adesso sono 7-8. I mafiosi hanno recepito gli svantaggi del farsi vedere, perché si rischia che la comunità capisca che il fenomeno mafioso è negativo. Ma la mafia è come l’acqua, perché penetra ovunque, corrode, leviga, e assume la forma del recipiente che lo contiene: penetra nei tessuti della società, corrode la vita dei cittadini plasmandola a suo piacimento e assume la forma della struttura in cui si trova”.
Per capire meglio, la Santonocito spiega il funzionamento di questa enorme e complessa macchina. Il gruppo mafioso si occupa di una serie di reati comuni e speciali. Fonte primaria di entrate è sicuramente l’estorsione, il pizzo. L’estorsione costituisce un’entrata ordinaria di denaro (quasi come le tasse per lo Stato), garantisce il funzionamento della macchina mafiosa e, inoltre, serve a delimitare il territorio. L’entità del pizzo viene commisurata in base al giro d’affari dell’attività; solitamente si tratta di una cifra utile e significativa per il gruppo, ma si fa in modo da non creare un danno all’impresa.
Sulla questione del rapporto tra impresa e mafia la Santonocito spiega che “si tratta di un confine debole, in quanto è difficile dire dove finisce il pizzo e inizia una quota societaria. L’imprenditore è per la mafia uno snodo importante negli affari, in quanto recepisce denaro ed è fonte di distribuzione dello stesso. Inizia così una tecnica di avvicinamento che prosegue con l’offerta di protezione, per poi andare sempre oltre. Passando per la reperibilità di fondi per l’impresa, la riscossione di crediti, fruizione di manodopera fino a garantire una tutela a livello di amministrazione pubblica. Ecco il servizio completo a tutto campo. Per questo, a volte, sono gli stessi imprenditori a contattare la mafia. L’impresa vuole ottenere la garanzia ufficiosa della mafia più di quella ufficiale dello Stato. Non si tratta di un rapporto tra vittima e carnefice, ma di un rapporto societario”.
Purtroppo questo fenomeno è ancora difficile da conoscere per la mancanza di denuncie, e ancora più difficile da combattere, in quanto la mafia, proprio come l’acqua, riesce a penetrare ovunque, a corrodere il sistema e a mimetizzarsi. C’è bisogno dell’impegno di tutta la popolazione. Per questo Addio Pizzo Catania lavora per informare i cittadini sulla reale situazione. “Informare per poter scegliere se aderire alla mafia o combatterla. Non esiste come scelta l’indifferenza.”
“L’organizzazione territoriale delle famiglie mafiose catanesi” è stato il primo di quattro incontri che si svolgeranno dal 6 al 30 Aprile e che avranno i seguenti orari:
Mercoledì 15 aprile 2009 ore 10.00: “Il reato di estorsione.” Relatore: Maresciallo Paolo Curcio del Nucleo provinciale dei Carabinieri di Catania.
Venerdì 24 Aprile 2009 ore 10.00: “Il ruolo dell’informazione e la responsabilità della cd. società civile nella lotta alla mafia” Relatore: Nino Amadore, giornalista del Sole 24 Ore.
Giovedì 30 Aprile 2009, ore 10.00: “Giustizia: quale riforma?”. Relatore: Felice Lima, giudice presso il Tribunale di Catania.