La lunga corsa

La notte del 31 dicembre del ‘94 ci trovavamo nel piazzale del Rifugio Sapienza, picco dell’Etna, a bere una cassa di birre Moretti, a cercare di rollare sigarette di tabacco, ad ascoltare Syd Barrett su un vecchio mangiacassette portatile. Eravamo: io e Dave Tuono sulla mia 127 del ’76 color blu notte (che motore quella macchina). Peppe Pampa e una sua ragazza di allora che si chiamava Lucia, una ragazzetta con gli occhiali a specchio, carina, abbastanza intelligente, mediamente timida e parecchio tossica, che stavano sulla R4 bianca di Peppe. Il gruppo di Enrico Moneta, pseudo-yuppie che comunque non disdegnava la nostra compagnia. Erano lui e altri tre su una Peugeot 106 nuova e bella messa a lucido. E infine Enzo Victor, e il suo amico Carlo, alto e allampanato, su una Panda rossa.

CAPODANNO DEL CAZZOOOOO, gridò alla notte Peppe Pampa.

Syd Barrett cantava delle stelle e dei pianeti.

Erano le 9 e la prospettiva di aspettare mezzanotte a non fare un cazzo sul Rifugio Sapienza non sembrava molto piacevole.

Qualcuno disse che c’era una festa a Pedara.

Peppe Pampa disse che ce n’era una a Santa Tecla e che potevamo trovare fumo.

Dave Tuono votò per la festa di Santa Tecla.

Fino che arriviamo a Santa Tecla la mezzanotte sarà passata e il fumo quasi tutto finito, disse uno degli pseudo-yuppie.

Partì così la cosa.

 *

Quanto cazzo ci metti ad arrivare fino a Santa Tecla?, argomentò Peppe.

Lucia annuì dietro i suoi occhiali a specchio.

Conoscevo bene la calata di Santa Tecla fatta sulla R4 di Peppe Pampa. La calata di Santa Tecla si trova nella famosa “Timpa” di Acireale, una scoscesa di circa un chilometro e mezzo su una stradetta stretta abbastanza per fare passare due macchine a pelo, tutta curve curve e a una pendenza incredibile. Peppe la faceva tutta a 120 usando solo il freno a mano, sulla sua R4, una macchina robusta e abbastanza stabile sì, ma certo non nota per le performance da slalom sciistico.

Peppe aveva un talento incredibile per la formulazione delle idee più stravaganti e pericolose che potessero essere elaborate dal cervello umano. Così gli venne l’idea della corsa.

Partire dal picco dell’Etna, per arrivare fino a S. Tecla, un borgo marinaro sul mare di Acireale. Si parte insieme. Chi arriva prima vince. Senza percorso obbligato. Ognuno può scegliere la strada che gli pare.

  *

Descrizione del percorso per chi non è di Catania: dunque bene o male, le strade più plausibili…

O scegliere la strada per Nicolosi:

Rifugio Sapienza – Nicolosi, strada statale 92, una buona strada asfaltata, in mezzo alla sciara vulcanica (pietra nera di lava), ma con pendenza elevata, curve a gomito, e soprattutto non illuminata e con scarsa segnaletica orizzontale.

Centro abitato di Nicolosi – ameno paesino montano a economia turistica, a capodanno pieno di ristoranti, festanti, gente ubriaca, eccetera.

Nicolosi-Pedara-Trecastagni-Viagrande: una gimcana tra vecchi paesini pedemontani, centri storici  pieni di stradine e altarini.

Viagrande-Acisant’Antonio-Acicatena-Acireale: una gimcana tra agrumeti e micropaesini sparsi.

Acireale-Provinciale-Timpa: grosso centro abitato fino alla provinciale lungomare Catania-Messina, una splendida strada che dalla scogliera di Catania porta a Messina attraversando nella zona di Acireale-Giarre la Timpa, la grande scogliera rialzata a strapiombo sul mare.

Timpa-Santa Tecla: la stradina scoscesa prima descritta, traguardo.

Oppure la strada per Zafferana:

Rifugio-Zafferana: lunghissimo percorso misto in mezzo a sciare, boschi, buio e pericoli di ogni tipo fuori da qualunque aiuto umano di qualsiasi genere.

Zafferana-Timpa: lunghissimo percorso misto in mezzo a piccoli centri, dedalo di strade quasi inestricabile.

Timpa-Santa Tecla: come sopra.

Nonostante il percorso due sembri il più semplice in realtà è il più difficile ed era anche quello che noi tutti avevamo esplorato di meno.

 *

Insomma: Peppe propose la sua idea del cazzo. Partire dal Rifugio e arrivare al porticciolo di Santa Tecla prima di mezzanotte. Chi arriva prima vince. Che cosa si vincesse nemmeno fu deciso.

Ci stavamo tutti. Solo Enzo Victor fece storie, non si voleva prendere la responsabilità di portare Carlo in una corsa così pericolosa, e alla fine fu deciso. Carlo sarebbe andato con la macchina di Peppe.

E così eccoci qui:

127 blu: io, Dave Tuono e Syd Barrett

R4 bianca: Peppe, Lucia e Carlo

Peugeot 106: Moneta e gli yuppie

Panda rossa: Victor

Pronti? Vroom, vroom.

Al volante, un ultimo frame che ho è quello di Lucia coi suoi occhiali a specchio che ci guardava.

Via.

Giù.

In mezzo al buio.

Giù per il vulcano.

 *

Un primo pezzo di strada le nostre macchine restarono a vista. Fari nella notte, nel serpente in mezzo la sciara.

Tuono fumava le sue Marlboro rosse morbide. Io non potevo rullare tabacco e lui mi passava Marlboro pure a me. Prima di Nicolosi finimmo tutto il pacchetto. Era un problema.

La R4 di Peppe batteva la strada. Prima. Seguita dalla 106 degli yuppie, dalla Panda Rossa di Victor e da noi.

Aprii il finestrino per sentire i motori. L’aria era di un freddo bestiale. Dovetti chiudere. L’odore di tabacco delle Marlboro ci attorniava. Sembravamo dentro un sigarificio cubano. Sembrava incenso. Syd Barrett, Interstellar Overdrive. Notte. Stelle.

La R4 di Peppe era un puntino di due fari rossi giù giù nella strada scoscesa. Poi la 106.

Ben presto si rimpicciolirono, poi sparirono dietro una curva e non li vedemmo più.

Poi perdemmo di vista pure la Panda di Victor.

Il mio motore rombava. Syd Barrett cantava.

Il motore si gonfiava dietro. La mia 126 tuonava.

Chi porta quelle macchine da frocio di adesso non ha idea di che significa portare quelle belle macchine, quei motori che con i colpi di terza sentivi il carburatore che si gonfiava come un cuore pieno di adrenalina, quei freni che sentivi proprio il filo del freno sotto il telaio che si tendeva, quello sterzo di plastica nera vulcanizzata che ti sentivi come se le ruote le tiravi con le orecchie, quei vettori di forza che ti afferravano come una troia mentre fai l’amore sui sedili in similpelle.

Oggi avete i servosterzi, i servofreni, i motori a iniezione, i servominchie. Froci.

Ma la 126 come la tiri in discesa? Era un problema. Era una macchinetta scattante ed agile. Ma quei curvoni, dovevo buttare tanto di freno motore, e poi terza e ripresa, controcurva, assestamento, rettifilo come un pompino, e poi di nuovo una bella botta di freno motore, e se la 126 non si accappotta, di nuovo, terza e ripresa eccetera.

Così ben presto ci trovammo soli. Nella notte. Nella sciara. Tabacco. Syd. Fari. Il vulcano sopra, le stelle attorno. Capodanno.

Soli.

Che c’importa. Proseguivamo.

Ogni tanto qualche macchina con ubriachi in salita.

Alla vista di Nicolosi discutemmo sull’opportunità di fermarci o meno al Bar Vitale, per le sigarette. Decidemmo per il sì, e per prenderci anche un caffè corretto. E che cazzo.

Alla pineta, in accelerazione, dopo la curva dell’Hotel Gemmellaro, nella discesona, per un momento sembrai perdere il controllo e arrivare oltre il guardrail.

Ma sterzai (con le orecchie, come detto) e il mio scriccioletto si riassestò.

Nicolosi. Arrivati.

Diminuii la velocità di crociera, e c’insinuammo nelle stradine.

Feci strada verso il Bar Vitale. Dieci minuti per trovare posteggio, nella ressa di capodannaioli.

Ma una pausa ci voleva.

 *

Il Bar Vitale era lancinante di luci. Ai banchi una ressa di gente alle ordinazioni. Gruppi fichi con fiche. Un quarto d’ora per fare lo scontrino.  Altri dieci minuti per prendere il caffè. Prendemmo anche una vodka. Poi un’altra. È capodanno e bisogna festeggiare, no?

Quando finimmo, un poco ovattati, erano circa le 10 e 10. Uscimmo nel freddo della notte, poi dentro la macchina. Era ancora calda. Tirai l’accensione. Gniiii gniii gniii. Gniii gniii gniii.

Ottimo. Non parte.

Era un problema che conoscevo bene. Toccò a Tuono scendere e spingere. Scese con la sigaretta in bocca. Spinse con ambo le mani. Seconda. Via.

Vrooom

Dave Tuono salì in macchina. Ci inoltrammo dentro Nicolosi festante. Prendemmo le stradine. Poi dritti, verso la Nicolosi Pedara, uno stradone alberato conosciuto per il LEM, una pista di skate-dance, e per i villini dei villeggianti che come filari di corazzieri la cingono tutta.

Accelerai quasi al massimo e ci fiondammo nella notte.

Di sicuro Peppe sarebbe arrivato primo, ma avevamo buone possibilità sugli altri perché erano dei cazzoni che probabilmente non conoscevano la strada e si sarebbero persi nel mezzo del cammin di loro vita.

Dave Tuono disse: STIRA UN PO’ che se no si fumano tutto il fumo.

STIRO?, chiesi

STIRA, disse

OK. Misi la quarta, notoriamente inaffidabile nella 126 che non ha nemmeno la quinta, e schiacciai a tavoletta. Feci un paio di sorpassi azzardati. Fari che ci alluciavano.

Poi lo stradone passò tutto d’un fiato, come i cicchetti di vodka che c’eravamo fatti qualche minuto prima.

QUANTE CAZZO DI VODKE ABBIAMO BEVUTO?, chiesi a Tuono. Lo vidi che fumava e il fumo gli usciva dalle narici, effetto Apocalypse Now.

Prima di capirlo arrivammo a Pedara.

Prima di capirlo vidi che la macchina volava.

Vidi che il filo dell’orizzonte si spostava, come nel flight-simulator del Commodore 64, la linea verde del terreno e quella azzurra del cielo, solo che qui c’era la striscia ardesia scura della strada e la striscia blu stellata del cielo.

Poi vidi solo blu stellato tipo carta di presepio.

Capimmo che la macchina levitava.

STO LEVITANDO

STO LEVITANDO

Come Abatantuomo

VROOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOM

CRASH.

 *

Cos’era successo: all’altezza dell’hotel di Pedara, prima del paese, abbiamo sfondato il guardrail nel punto in cui c’è una leggera curva che probabilmente non avevo nemmeno visto, e abbiamo fatto un volo, atterrando belli morbidi come nel flight simulator del C64 dentro una specie di campo indiano.

Pareva un campo indiano. Scendemmo quasi increduli e attorno c’erano le tende, e lontano si vedeva la luce del falò e la danza attorno al totem.

Che nella cipollina mangiata da Vitale ci fosse il Peyote?

 *

DOVE ERANO GLI ALTRI

Dove erano gli altri mentre io e Dave Tuono eravamo nel campo indiano? Non lo sapevamo. Ci fu raccontato dopo.

La Peugeot 106 e gli yuppie avevano fatto una bella tirata, tutti tirati da una bella musica da discoteca stile UNZ UNZ che pompava dal megastereo di Enrico Moneta. E tutti belli tirati, e felici s’erano persi nella zona di Aci Sant’Antonio. In mezzo agli agrumeti. Stradoni vuoti. Limoni. A un certo punto Moneta era uscito dall’auto, aveva guardato gli aranci e i limoni e aveva incominciato a bestemmiare in turco maledicendo se stesso quando aveva accettato l’idea della corsa, quando s’era messo col nostro gruppo di sballati e che doveva andare nelle mille feste fiche di cui la sua agenda era piena per il capodanno.

E PEPPE?

PARE CHE PEPPE, conscio della superiorità, del vantaggio, ma soprattutto strafottendosene della corsa avesse:

a) fatto una deviazione a Nicolosi, arrivando fino a San Giovanni la Punta.

b) fosse passato da una festa che conosceva per prendere il fumo

c) i tre avevano passato una bella oretta alla festa, avevano sbevazzato come pazzi, e Peppe aveva procurato, oltre al fumo, quattro dosi di micropunte.

d) avevano ripreso la R4 e s’erano diretti verso il casello di San Gregorio per prendere l’autostrada A18 che li avrebbe portati dritti dritti ad Acireale.

 *

Ad Acireale? Dritti dritti all’oltretomba, perché Peppe, in un vago delirio ballardiano, aveva deciso di imitare inconsapevolmente il buon vecchio Vaughan e fatta aprire la boccuccia a Lucia, a Carlo, e poi la sua, avevano ingerito le micropunte, e avevano calato il tutto con un bel sorso di Martini Asti DOC trafugato alla festa.

Fortunatamente poi, in un rigurgito di paranoia, s’era preoccupato che al casello ci potessero essere volanti, e aveva optato per prendere la strada che da S. Giovanni la Punta arriva fino all’Eremo di S. Anna, e poi da lì fino ad Acireale.

E così eccoli. Vaughan, Lucia Mirrorshades, e Carlo, bello, alto, allampanato e micropuntato, nella R4 volante in mezzo alle stradine che portano all’Eremo di S. Anna.

 *

Sapete quant’è bello l’Eremo di notte?

Se non ci siete mai arrivati la notte di capodanno, non sapete che vi siete persi. Un belvedere che guarda la costa, a cui si arriva dopo peregrinazioni in mezzo a strade che si inerpicano per giardini di aranci e limoni. Quando si arriva all’eremo, dopo il vagabondare sperso in mezzo al dedalo, è incredibile.

Così qui Peppe, estasiato da  cotanta bellezza, aveva tirato il freno a mano, aveva acceso una sigaretta e s’era messo a guardare. Poi, aveva guardato Lucia, semisvenuta accanto a lui nel sedile passeggero, aveva cominciato a toccarla, e poi, siccome la cosa gli era sembrata troppo banale, aveva invitato l’amico Carlo a fare altrettanto. Lucia era stata così trasferita nel sedile posteriore della R4, Carlo, sotto la vampa dell’acido si era spogliato tutto nudo (gridava “Sono un cavaliere crociato” raccontò Peppe poi) e per il piacere voyeuristico di Peppe, Lucia e Carlo avevano cominciato una copula belluina nel sedile posteriore della R4. Lei era semisvenuta, persa nel suo sogno d’acido. Il crociato, invece, aveva sguainato la sua spada di fuoco, e s’era lanciato sul campo di battaglia. E Vaughan, placido, acido, guardava fumando.

Ma per disgrazia di Peppe, una delle volanti che non era al casello di S. Gregorio si trovava a passare per quelle stradine solitarie.

Accostò per un controllo.

Immaginate la scena del:

Sovrintendente Orazio Scalisi e dell’

Agente scelto Carmelo Coco,

di servizio la notte di capodanno, che sognavano la casetta calda dove la loro moglie stava preparando il cotechino con le lenticchie, quando, accostati trovarono la scena del:

Cavaliere Templare Carlo Giusti tutto nudo che je dava sulla personcina minuta di

Lucia semisvenuta, tutta nuda, con solo i suoi occhiali a specchio addosso, mentre

Vaughan Pampa sballato e micropuntato si godeva la scena fumando una Diana rossa morbida.

 *

Bene. Inutile dire che Peppe, Lucia, e Carlo e passarono la mezzanotte in questura.

E gli altri?

E Victor? Dov’era finito?

 *

Di Victor nessuna notizia, almeno per il momento. Mentre Moneta bestemmiava in turco agli aranci, la combriccola di Vaughan doveva rendere conto di atti osceni e di un panetto di hashish grande quanto un pacchetto di big-babol (non poterono contestargli la guida in stato d’ebbrezza perché tecnicamente, in quel momento, l’auto era ferma), e mentre io e Tuono ci addentravamo nel campo indiano (Syd Barrett era andato a dormire nel mangianastri), e mentre la mezzanotte e il ’95 velocemente arrivavano, di Victor nessuna notizia.

Sarà da qualche parte, con la sua Panda Rossa. Boh.

 *

Già. Ma io e Dave Tuono?

E il campo indiano?

Dunque. Fatto un rapido resoconto etilico dei danni alla macchina (non s’era fatta quasi niente, o almeno così pensai), chiudemmo le portiere e ci addentrammo.

Che cazzo ci fa un campo indiano a Pedara?

Che sia qualche rito strano?

Qualche solstizio pagano?

Magari hanno qualche droga strana? Dello stramonio? azzardò Tuono

Ci avviciniamo lentamente lentamente al totem.

I tamburi troneggiano

Bum bum bum

Tamburi di guerra

Tamburi tribali

Tamburi marziali

BUM BUM

BUM BUM

Tamburi tribali? Ma è la macarena!

Siamo finiti in un camping di turisti tedeschi che festeggiano ubriachi attorno a un falò fatto con delle cassette di frutta vuote.

Gli indiani si avvicinano.

Ci guardano.

Le squaw si chiamano Elga e Greta, e siccome i pellerossa maschi sono già troppo ubriachi da un pezzo anche solo per muovere un dito, sono annoiate. E vogliono festeggiare il capodanno. E assieme a loro ci sono anche Ulrica, Olga, Ioanna, Sveta, Viktoria, eccetera eccetera eccetera.

Auauauauauauauau (<- immaginate questo come il classico grido di guerra Apache, fatto gridando e ponendo una mano sulla bocca a intermittenza) Bene. Questi eravamo io e Dave Tuono in quel momento.

 *

-10

-9

-8

-7

-6

-5

La mezzanotte sta arrivando.

Il ’95 sta arrivando.

Sta arrivando su me, su Dave Tuono, su Elga, Greta, Ulrica, Olga, Ioanna, Sveta, Viktoria, Brigitte, Eugenia, Agnethe, Brunhilde, Alina, Karla, Angelika, Jutte, Gudrun, Ivonne, Katrine, che balliamo tutti insieme la macarena, con un boccale di birra bavarese da 750 cl in una mano.

Sta arrivando su Syd Barrett, chiuso nel suo magnetofono e rilucente dentro ogni stella.

Sta arrivando su Vaughan, Lucia, Carlo che tentano di spiegare al sovrintentende Scalisi e all’agente Coco che quello non è hashish, ma chewing-gum al gusto di menta piperita e liquirizia del Montenegro.

Sta arrivando su Moneta e i poveri pseudoyuppie, persi dentro una campagna così bella che purtroppo non riescono ad apprezzare. Poverini, dategli una discoteca!

Sta arrivando su Victor che si dirige sulla sua Panda Rossa al traguardo.

-4

-3

-2

-1

BUON ‘9555555555555555555555555555555

 *

Il ’95 fu l’anno del Brit-pop, dei 99 Posse, dei Primal Scream, dei Prodigy, di Trainspotting, dell’e-culture, e come Elettronica ed e come Ecstasy, di Internet, della Rivoluzione Informatica, della nuova Swinging London, della Raggiante Catania dei pub, di Toni Blair e di Bianco, dei Chemical Brothers, del Rock Catanese, l’anno che Mtv arrivò in Italia, delle Adidas Gazelle e di Kate Moss, di Graham Coxon e di Jarvis Cocker dei Pulp. Di Brett Anderson dei Suede, di Jamiroquai.

Ai 68ottini e ai 77settini tutto questo può sembrare banale, ma per noi che abbiamo passato la pubertà negli aridi anni ’80 dei paninari (al Nord Italia: qui al massimo un panino con la porchetta nei carrozzoni), dicevo a noi questa piccola rivoluzioncina che sarebbe durata solo qualche anno ci pareva grande come la Summer of Love del 1899 e del 1967 messe assieme.

C’è anche da dire che in realtà gli anni ’80 furono anni d’oro per certa musica pop e per certo cinema di genere.

Ma questo è un altro discorso.

Ora scusatemi. Ho una squaw bionda come la birra che tengo in mano a cui dare conto.

 *

Mi svegliai colpito da un raggio di sole dell’alba. C’era Inga (o era Elga) accanto e me, e poco più in là vidi Dave Tuono che dormiva riverso, assieme a Elga (o Inga). Mi stirai e uscii dalla tenda.

C’era un meraviglioso sole come un grosso arancio che sorgeva, e un tedesco stupido e allampanato che mi disse Gutte Morning, mentre bolliva il caffè su un pentolino da campo.

Guardai l’orologio. Erano le 6.20.

Un caffè ci stava.

 *

Il tedesco era giulivo, mi raccontò che si era divertito molto la sera e che aveva bevuto come un pazzo, e che era stato davvero un bel capodanno anche se non si ricordava niente.

Contento lui.

Mi bevvi il caffè, poi svegliai Dave Tuono e gli dissi che forse era l’ora di andare a S. Tecla, all’appuntamento.

 *

Ed eccoci, nella 126 che cammina ancora come un soldatino blu, zona Acisantantonio o giù di lì, mentre l’alba di madreperla colora tutto come dentro il più classico degli psichedelici caleidoscopi.

Che dici, siamo ancora in gara?, chiesi innocentemente a Tuono

Che dici, sarà rimasto un po’ di fumo?, chiese altrettanto innocentemente Tuono, accendendosi una Marlboro.

 *

Quando arrivammo alla Timpa decidemmo di prendere un cornetto prima di fare la discesa, al Bar Belvedere.

La provinciale era piena di capodannaioli che tornavano, e anche il Belvedere era pieno di gente che cercava cornetti e cappuccini per cercare di sedare stomaci stravolti dall’alcool e dai cenoni.

Anche qui, 15 minuti di coda per lo scontrino e quindici minuti al banco.

Quando Dave Tuono propose di continuare con un bicchierino di Fernet lo guardai male.

Ma ammisi che dopotutto, forse ci stava.

Portammo cornetti e fernet ai tavoli e chi c’era ai tavoli?

Moneta & Co.

Incazzati per quel capodanno del cazzo.

Noi ce la ridemmo sotto i baffi.

 *

Affrontammo la Timpa con gentilezza, come si fa con una donna scontrosa. Una terza leggera, un filo di acceleratore ogni tanto.

Ed eccoci, Santa Tecla.

Moneta e i suoi erano rimasti al bar, tanto non gliene strafotteva più un cazzo della corsa, di capodanno, di Pampa, di niente.

Il lungomare era quasi mistico, tutto brillante di luce e di blu perlato dei riflessi del mare.

Arrivammo fino alla piazzetta sul mare.

La R4 posteggiata ci avvisò che Peppe era già arrivato.

Eccoli.

Li vedo.

 *

Erano sugli scogli, con la bottiglia vuota di Asti Martini che si passavano ancora di bocca in bocca meccanicamente.

Peppe era placido, gli occhi socchiusi, suonava con la sua chitarra Green is the Colour dei Floyd, ed era felice.

Un bambino appagato.

Carlo faceva scoppiare fuochi d’artificio difettosi buttandoli sugli scogli, e Lucia era riversa, con gli occhiali a specchio ancora addosso.

Ci sedemmo vicino a loro e ascoltammo Peppe che faceva dopo l’altro tutti i pezzi di More dei Floyd.

 *

Della corsa non si parlò più.

Alle undici, salutai Tuono sul portone di casa sua.

Alle undici e 10 rientrai a casa, mentre mia madre preparava le tartine per il pranzo dell’uno dell’anno. Ne presi una, poi accollassai a letto fino alle 12 e mezza, quando mi aspettava un pranzo dell’uno fatto con nonni, nonne, zie e parentame vario.

 *

Bene. Chiuso.

Nel ’95 passai un paio di settimane a Londra, in un quartiere ghetto chiamato Hounslow. La mia pensionante si chiamava Mrs Pancho, era una negrona stile mama di Via Col Vento, simpatica da morire. Facevamo colazione con yogurt e sigarette, lei ci parlava di un giro di coca che la sua migliore amica teneva, delle avventure sentimentali della figlia quattordicenne, tutto al suono della musica JUNGLE che per un breve periodo quell’estate fece furore a Londra.

Londra era indescrivibilmente bella in quel periodo. Col mio amico Rats passavano le giornate in centro, poi di notte tornavamo in tempo dalla Pancho per partecipare alle lotte tra i gruppi di Somali e quelli di Pakistani, che quotidianamente avevano luogo nel quartiere. Salivamo nel secondo piano del villino della Pancho e lei ci passava le uova da lanciare dalla finestra in testa ai Somali. Poi andavamo in salotto a pomiciarci io Rebecca, una ventenne timida, e lui Melanie, una trentenne rampante, le uniche due bionde che frequentavano casa Pancho.

Ma questa è un’altra storia.

 *

E Victor?

A Santa Tecla non ci arrivò mai.

Non era un mio vicinissimo amico, perciò là con là non domandai notizie.

Nelle settimane successive chiesi comunque a Pampa che fine aveva fatto Victor quella sera.

Lui rispose sempre vagamente.

Dal quel 31 dicembre Victor sparì.

Doveva fare un viaggio studio in Irlanda, disse Pampa, e anche tutti gli altri amici sapevano così.

Il fatto è che non lo si vide proprio più in giro, non in quei mesi, ma negli anni successivi.

Sparì. Del tutto.

Quella notte del 31 dicembre.

Nella sua Panda rossa.

In mezzo agli agrumeti di Aci Bonaccorso.

Sfrecciando nella notte, nella lunga corsa fino a Santa Tecla, fino al traguardo.

 *

Ed è sempre così che me lo sono immaginato in questi anni.

Nelle notti stellate, quando guardo il cielo, o certe notti in macchina.

Se chiudo gli occhi mi pare di vedere Victor che sfreccia nella notte.

A volte in macchina mi pare di avere intravisto una Panda Rossa, lontano, in qualche incrocio.

Me lo sono sempre immaginato così.

Un cavaliere solitario.

Parsifal alla ricerca del Graal.

Lucky Luke nella sterminata prateria americana.

Uno spettro che infesta gli aranceti della zona di Aci.

Di notte, con la sua Panda Rossa come il fuoco, come il cavaliere senza testa di Sleepy Hollow.

Me lo sono sempre immaginato così.

 *

Fino a quando, l’altro giorno, incontrando Dave Tuono in un bar del centro, prendendo un caffè sempre più veloce in questi giorni fatti di lavoro e di impegni, ci siamo soffermati cinque minuti a parlare.

Del tempo che passa, delle cose, della gente.

Abbiamo messo tutti, chi più e chi meno, la “testa a posto”. Quello ha messo su famiglia, quello lavora al Nord, quello s’è laureato ma non trova lavoro, quello l’ho visto un paio di anni fa sembrava un altro e quello invece l’ho perso un po’ di vista, ma so che sta bene.

Eccetera.

Non erano discorsi tristi.

A noi basta guardarci negli occhi, in questi cinque minuti, davanti questo caffè corretto, per vedere che siamo rimasti quelli di sempre.

Una cosa mi sconvolse però.

Parlando di questo e di quello, di quello e di quell’altro, Dave Tuono ha fatto anche il nome di Enzo Victor.

Non sentivo quel nome da quella notte.

Invece di fare tanti discorsi, o racconti, Tuono ha fatto la sua faccia acida e ha cercato nella sua borsa da avvocato.

Ha estratto una busta. Dentro la busta c’era una lettera, e una foto.

Mi porge la foto.

C’era Victor vestito da gaucho, vicino una jeep color amaranto, con un fucile in mano, una grossa barba e una bella donna sotto braccio. Alle sue spalle, la pampa infinita e greggi sterminate di pecore da lana.

Dietro la foto, non so se riferendosi alla corsa di quella notte, Victor aveva vergato di proprio pugno tre parole in stampatello.

HO VINTO IO


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