La lotta democratica del popolo kurdo La testimonianza di due attiviste di Rojava

«La nostra lotta, come popolo kurdo, dura da più di cento anni. E come è stato per l’Apartheid in Sud Africa, dopo decenni credo che la comunità internazionale sia pronta a sostenere la nostra lotta democratica». Non ha dubbi Havin Guneser, attivista dell‘Iniziativa internazionale per la libertà di Ocalan. E’ nata e cresciuta «in Kurdistan», precisamente nella parte del nord della Siria oggi nota come territorio autonomo di Rojava, e da dieci anni vive in Germania. Oggi pomeriggio, alle 18.30 nella piazzetta di via Sant’Elena, sarà ospite in un evento organizzato dal Comitato di base No Muos-No Sigonella, dalla Rete antirazzista catanese, da Rifondazione comunista, da Città felice, da Lila e da Cobas Scuola per illustrare «in questo momento in cui l’occidente guarda, probabilmente sconvolto dalle immagini delle nostre donne combattenti a Kobane contro l’Isis, il cosiddetto stato islamico, il percorso democratico e antipatriarcale che il mio popolo svolge da più di 40 anni».

Con lei sarà presente un’altra donna Nilgun Bugur, giornalista dell’Ufficio informazione del Kurdistan in Italia. «Il Pkk (partito dei lavoratori del Kurdistan, organizzazione considerata come terroristica dalla Comunità europea, ndr), e il movimento per la liberazione del Kurdistan – spiega Bugur – è stato fondato come è noto nel 1978 da Abdullah Öcalan, che si trova in carcere dal 1999 nell’isola prigione di Imrali, in Turchia. Quello che è poco noto è che a fondare il movimento con lui c’erano anche due donne. Una di loro, Sakine Cansiz, è stata uccisa il 9 gennaio 2013 a Parigi, ma ha passato molti anni della sua vita in prigione, subendo anche torture», spiega l’attivista kurda. «C’è quindi sempre stato un aspetto di resistenza e lotta nella concezione del movimento delle donne kurde fondato da Cansiz – prosegue Guneser – Da lì, dalla fine degli anni ’70, nascono le unità difensive femminili, che sono autorganizzate e autonome rispetto a quelle maschili. Le donne hanno imparato a prendersi la responsabilità di proteggersi da sole», spiega.

Una concezione «diametralmente opposta a quella portata avanti dall’Isis – prosegue Guneser – Per loro tutti devono essere musulmani, tutti militarizzati, secondo una concezione del nazionalismo arabo e le donne sono schiave. Rojava, la nostra comunità autonoma e democratica dove convivono siriani arabi turchi ceceni, sta mostrano al mondo che un metodo per la pace nel Medio-oriente esiste».

Una soluzione, quella della costituzione di comunità autonome «in forte contrasto con le operazioni militari internazionali di questi anni. La Libia – prosegue Havin Guneser –  dopo la cosiddetta Primavera araba, ma anche l’Iraq, sono state lasciate dagli interventi militari degli Stati uniti con governi teoricamente autonomi, ma senza una visione sul futuro». «Quello che viene mostrato dai media internazionali è la lotta dei Peshmerga che combattono. La lotta reale è quella democratica, che stiamo portando avanti da 40 anni. E con la solidarietà internazionale», conclude Nilgun Bugur.


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