La grande corsa al controllo dell’acqua nel pianeta Terra

A PROVARE A IMPOSSESSARSI DI QUELLO CHE VIENE DEFINITO “L’ORO BLU” – CHE SI ANNUNCIA COME UN FORMIDABILE MEZZO DI CNTROLLO DEGLI STATI PER I PROSSIMI ANNI – SONO LE SOLITE SOCIETA’: Goldman Sachs, Jp Morgan, Ubs, Hsbc, Barklays, Deutsche bank, Citigrup, Allianz, Credit Suisse

La sudditanza dell’Unione europea nei riguardi degli Stati Uniti non conosce limiti. Un paio di mesi fa abbiamo raccontato del trattato segreto tra gli Usa e l’Europa riguardante le garanzie a favore delle multinazionali e dei loro investimenti esteri. Il trattato in questione, Isds, garantisce gli investimenti delle multinazionali nel caso che i governi dei Paesi dove queste hanno i loro investimenti dovessero modificare la loro legislazione che inciderebbe sulla convenienza dei loro investimenti. In questo caso le grandi imprese potrebbero costringere gli Stati responsabili del cambiamento ad un arbitrato presso un organo a ciò abilitato dalla Banca mondiale ed ottenere il risarcimento, per la ragione che i cambiamenti apportati modificano lo stato di convenienza che le aveva indotte a quell’investimento.

Su questo argomento incombeva il totale silenzio in campagna elettorale europea. Solo la lista Tsipras ne denunciava la gravità e ne prospettava l’interruzione.

Bene, la cosa non si è conclusa lì. E’ in atto un altro negoziato segreto, stavolta a Ginevra, tra 50 Stati, di cui 28 rappresentati dall’Unione europea, che stanno negoziando, in gran segreto, il Tisa, cioè il Trade in Services Agreement, che, tradotto in italiano vale Negoziato sulla privatizzazione dei Servizi. Anche questa trattativa fa parte del Ttip, Transatlantic Trade and Investiment Partnership, che tradotto vuol dire Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti.

Di questa vicenda ne dà notizia “l’euroscettico”, che, a sua volta la rilancia prendendo lo spunto da un servizio de L’Espresso.

Ma non finisce qui. “Libre” dà un’altra notizia: la finanza mondiale sta rubando l’acqua all’umanità. Cioè la razzia globale della quale sono artefici e protagonisti i potentati economici globali e le banche di Wall Street. Il loro slogan è: “L’acqua è il prossimo petrolio. L’acqua è l’oro blu”.

Com’è facilmente intuibile, gli stessi protagonisti di queste vergognose speculazioni si rendono conto che la loro conoscenza provocherebbe proteste e sollevamenti popolari in tutto il mondo. Da qui la massima segretezza dei negoziati. Quello che meraviglia, però, è il fatto che i negoziati che stanno occupando in questi giorni i capi dei 28 Paesi europei riguardano esclusivamente la divisione delle poltrone più significative dell’apparato di potere dell’Unione. Si parla, per ragioni di contorno, dei vincoli del Fiscal compact o all’interpretazione da dare alla ‘flessibilità’, ma non c’è nemmeno un velato accenno ai vergognosi trattati segreti in corso e la relativa rinuncia al loro proseguimento.

Prima di passare alla lettura analitica, anche se in forma sintetica, del merito e delle materie oggetto dei trattati segreti in corso, vale la pena di porre al leader Matteo Renzi se intende o no proporre al Consiglio europeo, a partire dall’1 luglio prossimo, cioè da dopodomani, il blocco dei negoziati in corso e sottoporre a referendum popolare europeo il loro proseguimento o meno. Ecco, questo sarebbe un modo concreto di far parlare i popoli europei su questioni di grande interesse generale. E sarebbe un passo importante verso l’integrazione europea.

Ancora più rilevante che non l’indecente accordo di potere convenuto nella spartizione dei posti tra Partito Socialista e Partito popolare europei. Ci rendiamo conto di chiedere qualcosa che Matteo Renzi non pensa nemmeno, intento com’è a mantenere la sudditanza ossequiosa dell’Italia verso gli Stati Uniti e la Germania, ma – per quanto ci riguarda – la questione intendiamo segnalarla e sostenerla.

E veniamo al merito dei negoziati segreti in corso. In primo luogo quelli relativi alla privatizzazione dell’acqua.

 Jp Morgan, Ubs, Hsbc, Barklays, Deutsche bank, Citigrup, Allianz, Credit Suisse sono tutte a caccia di acqua.

George Bush senior sta acquistando in Paraguay terreni che galleggiano sulla falda acquifera Guaranì, una tra le più grandi del mondo, capace di fornire per 200 anni acqua potabile a tutta l’umanità. Essa interessa quattro Paesi dell’America latina, segnatamente Brasile, Paraguay, Uruguay e Argentina, le quali, secondo un accordo stipulato tra loro, hanno diritto di cogestione ma non di proprietà. Per questa ragione a risolvere la questione della proprietà ci sta pensando George Bush senior.

I potentati economici e finanziari, che dalla crisi mondiale hanno tratto colossali ritorni finanziari, sono a caccia di falde acquifere, laghi, stagni, sorgenti naturali, servizi idrici, aziende tecnologiche, società di ingegneria idraulica in ogni parte del mondo.

Da parte loro, i governi si orientano a privatizzare i servizi idrici secondo il credo neoliberista, sia nell’Unione europea, sia negli Stati Uniti. Si racconta che in Oregon il signor Gary Harrington sia stato condannato per avere osato rendersi autonomo nell’approvvigionamento idrico della sua casa, costruendo una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana.

Secondo Goldman Sachs, la stima dell’affaire acqua vale 425 miliardi di dollari. Pensate un po’ se non è il caso di tentarle tutte per accaparrarsi un affare di questa entità

Sul Tisa, la privatizzazione dei servizi la trattativa riguarda tutti i servizi, in genere pubblici, e cioè (per restare solo ai principali) sanità, trasporti, istruzione. In pratica, tutto il sistema di garanzia della parità dei diritti dei cittadini verrebbe trasferito alla competenza dei privati che, va da sé, opererebbero una selezione discriminatoria sulla base dei redditi dei cittadini. Una feroce rivoluzione classista e reddituale. In altri termini: una vergogna abissale.

Su questo tema Stefano Maurizi, nel suo servizio su L’Espresso, chiosa: “Interessi giganteschi di grandi multinazionali e, in particolare, la Coalition of Service Industries, la quale sostiene che “Stati e governi sono visti come intralcio al business” e che “va supportata la capacità delle aziende di competere secondo fattori di mercato e non secondo quelli voluti dai governi”.

Il testo del Tisa, secondo le veline che tuttavia sono sfuggite al ferreo controllo della segretezza assoluta – per merito di Wikileaks, riporta il servizio de L’Espresso – si legge che il settore dei servizi produce il 70 per cento dell’economia globale e che negli Usa arriva addirittura al 75 per cento del Pil. E che la segretezza del negoziato va mantenuto almeno per cinque anni dopo la sua approvazione.

Il Tisa, che non è che l’aggiornamento e l’ampliamento del precedente accordo sul commercio dei servizi, Gats -General Agreement on Trade in Services, vale a dire: Accordo generale sul commercio dei servizi – istituito nel 1995 dal World Trade Organization. Esso è iniziato negli Usa e in Australia ed è arrivato a contare sulla partecipazione di 50 Paesi. Oltre ai 28 Paesi rappresentati dall’Unione Europea, sono presenti Canada, Cile, Cina, Taipeu, Colombia, Costa Rica, Hong Kong, Islanda, Israele, Giappone, Liechtenstein, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Pakistan, Panama, Paraguay, Perù, Repubblica di Corea, Svizzera e Turchia.

Su questo negoziato, in conclusione, ci piace citare la valutazione che di esso fa la professoressa Jane Kelsey, docente presso l’università di Auckland dal 1979, attenta studiosa e critico severo della ‘globalizzazione’. Il suo ultimo saggio sulla globalizzazione “Servire i cui interessi? L’economia politica degli scambi di servizi” è stato pubblicato da Routledge nel giugno del 2008.

Il suo commento sul Tisa è un capolavoro di acume politico e di critica alle prospettive della sua applicazione: “Il Tisa è promosso dagli stessi governi che hanno creato nel Wto il modello finanziario di deregulation che ha fallito ed è stato accusato di avere aiutato ad alimentare la crisi economica globale”. E continua: “Un esempio di quello che emerge da questa bozza, filtrata all’esterno, dimostra che i governi che aderiranno al Tisa rimarranno vincolati ed amplieranno i loro attuali livelli di deregolamentazione finanziaria e delle liberalizzazioni; perderanno il diritto ai dati finanziari sul loro territorio; si troveranno sotto pressione affinché approvino prodotti finanziari potenzialmente tossici e si troveranno d affrontare azioni legali se prenderanno misure precauzionali per prevenire un’altra crisi”.


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