Una scena surreale, ma solo per chi non vive quotidianamente in una trincea chiamata Pronto soccorso. È quella vissuta domenica scorsa da una dottoressa in servizio al Cannizzaro di Catania. Ospedale in cui ha dovuto subire la violenta aggressione di un paziente psichiatrico che era stato accompagnato al presidio dalle forze dell’ordine durante la notte, salvo poi scappare ed essere riportato in sala d’attesa. La professionista – che aveva terminato il turno di notte e stava dando le consegne a una collega – è stata sollevata dai capelli e scaraventata a terra, perdendo conoscenza. Subito dopo, il paziente l’avrebbe colpita alle testa con calci e pugni. Inutili i tentativi di soccorso da parte di un medico e di un paziente. A questo punto a risultare decisivo è stato l’intervento di un infermiere, Antonio De Maria, e degli stessi poliziotti che avevano accompagnato l’uomo, anche loro costretti a rivolgersi alle cure dei medici in quanto già aggrediti in precedenza.
La vicenda ha riportato al centro delle cronache la questione sicurezza nei Pronto soccorso, ma il caso specifico imporrebbe più di una riflessione sulla gestione dei pazienti psichiatrici e in particolare di coloro che in ospedale vengono accompagnati dalle forze dell’ordine. Quest’ultime esauriscono infatti i propri compiti subito dopo l’accesso del paziente al triage, ossia il sistema di smistamento – attraverso dei codici colorati – che permette al personale medico di stabilire le priorità assistenziali. «In questo modo i medici si ritrovano a visitare dei pazienti che, improvvisamente, possono diventare incontrollabili. Oltre al fatto che, nel caso specifico, l’aggressore non aveva una codice prioritario (giallo o rosso, ndr), che gli avrebbe permesso un rapido accesso in ambulatorio», spiega a MeridioNews Antonino Palermo, segretario regionale del sindacato Anaao Assomed.
«Attualmente le forze dell’ordine esauriscono i propri compiti quando accompagnano le persone al Pronto soccorso – spiega – Ecco perché sarebbe necessario un vertice tra tutte le aziende sanitarie siciliane, la politica e le prefetture. Una soluzione, come in questo caso, sarebbe quelle di potere assegnare un codice che dia priorità assoluta al paziente psichiatrico, così che il medico, per esempio, possa sedarlo immediatamente, se necessario. Senza dei protocolli specifici, invece, i medici continueranno a rischiare la vita mentre svolgono il proprio lavoro». Altra questione è quella su come gestire la richiesta d’aiuto nel momento in cui si viene aggrediti. «In quasi tutti i presidi c’è il passaparola, ossia si chiede aiuto fino a quando interviene la vigilanza – spiega Palermo – Soltanto alcuni presidi sono dotati di pulsantiera per attivare subito la richiesta d’aiuto».
«Le forze dell’ordine piantonano i pazienti solo se si tratta, per esempio, di detenuti. In tutti gli altri casi non è previsto il controllo. Ecco perché per pazienti psichiatrici che – come in questo caso – hanno già dato segni di pericolosità, sarebbe necessario limitare al minimo la loro permanenza in Pronto soccorso. In questo tempo, inoltre, bisogna attivare una sorveglianza. Ma tutto questo deve avvenire rispettando dei protocolli ufficiali che andrebbero sottoscritti per tutti gli ospedali, perché questo non è solo un problema che riguarda il Cannizzaro», spiega a MeridioNews Mario Conti, coordinatore infermieristico nel nosocomio etneo. Ma da sottolineare c’è anche il fatto che nei Pronto soccorso non è prevista la presenza fissa di uno psichiatra che, invece, si attiva per effettuare la propria consulenza solo dopo la chiamata del medico che ha preso in carico il paziente. Il tutto con tempi più o meno celeri, ma a condizione che non sia stata già effettuata una sedazione che abbia potuto alterare lo stato di coscienza.
Oggi intanto la Cgil allestirà un presidio all’ospedale Cannizzaro. «Servono presìdi fissi delle forze dell’ordine con protocolli chiari di intervento – spiega il sindacato – gli operatori devono anche trovarsi in condizione di essere maggiormente protetti, potendo magari usufruire di apparecchi elettronici per chiamate di aiuto e di un sistema di video sorveglianza per ambienti più sicuri. Ma anche l’assistenza legale contro la violenza al lavoro è sempre più necessaria. Chi ci cura va difeso».
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