La Fata, la moglie cerca un’altra testimone «La stessa che mi ha telefonato quel giorno»

La signora Alfia Poli non si dà pace. E’ passato poco meno di un mese dal giorno in cui suo marito, Salvatore La Fata, si è dato fuoco in piazza Risorgimento dopo che due vigili urbani gli avevano sequestrato la frutta che vendeva da abusivo. Lui, operaio edile da due anni disoccupato, è morto undici giorni dopo, il 30 settembre, per un arresto cardiaco dovuto alle gravi ustioni riportate. Alla donna che gli è stata accanto per tutta la vita non resta che cercare la verità. Ha lanciato appelli, appeso volantini sugli alberi di piazza Risorgimento, è andata a Chi l’ha visto. E, soprattutto, ha presentato una denuncia alla Procura della Repubblica di Catania. Ci sono due testimoni, con nome e cognome, che sono pronti a raccontare quanto dicono di aver visto. Adesso la signora Alfia ne cerca un’altra: una donna, che nelle foto scattate in quegli attimi convulsi, compare più volte vicino al marito, anche davanti alla portiera aperta dell’ambulanza dove La Fata è salito sulle sue gambe, ancora vigile e cosciente.

«Presumo che sia la stessa donna che mi ha chiamato dal cellulare di mio marito per avvisarmi di quello che era successo, è l’ultima persona che ha parlato con lui e che può dirmi quali sono state le sue parole», spiega. I parenti dell’operaio morto cercano ulteriori conferme della versione dei fatti data già da due testimoni e messa nero su bianco nella denuncia. In particolare una signora che stava acquistando la frutta da La Fata afferma di aver sentito uno dei vigili dire: «Accattiti a benzina se ti devi dare fuoco, ma spostati più in là». Affermazione che il comandante dei vigili urbani, Pietro Belfiore, ha smentito. «L’agente ha detto non ti dare fuoco», ha sempre precisato il comandante. Ma anche altri testimoni concordano con la versione resa dalla prima signora. Motivo che ha spinto la moglie a denunciare i vigili per omicidio colposo, a cui si aggiunge l’omissione di soccorso. La Fata, infatti, secondo almeno un paio di racconti di chi c’era, si sarebbe spento da solo con una bottiglietta d’acqua, senza ricevere aiuto dagli agenti. Sarebbero stati altri presenti a gettargli addosso subito dopo un sacco dove venivano messe le patate.

«All’inizio – racconta la moglie – non ci avevo fatto casa, ma adesso con più calma ho riguardato le foto e ho notato una donna che sta sempre lì sulla scena dei fatti. Presumo che è la stessa che quel giorno mi ha chiamata dal cellulare di mio marito. Quando risposi, questa signora mi spiegò che era stato lui a darle il telefono e chiederle di cercare il mio nome e avvisarmi che lo stavano portando in ospedale». Ma quando la signor Alfia arriva in piazza Risorgimento, la donna con cui ha parlato non c’è più. «Aveva lasciato il cellulare ad un’altra persona che me lo ha consegnato, ma lei era andata già via. Adesso vorrei parlarle, non deve avere timore, ma è importante per me sapere quali sono state le ultime parole di mio marito prima di salire su quella maledetta ambulanza», conclude. Spetterà alla Procura sentire i testimoni che si sono fatti avanti ed eventualmente cercare nuove conferme.


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Riguardando le foto, la signora Alfia Foti, ha notato la presenza di una donna vicino all'ambulanza. «Presumo che sia la stessa donna che mi ha chiamato dal cellulare di mio marito per avvisarmi di quello che era successo, è l'ultima persona che ha parlato con lui e che può dirmi quali sono state le sue parole». Intanto altre due persone che si sono fatte avanti attendono di essere sentite dalla Procura

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