LA CITTA’ INVISIBILE/ La palestra? Mettetevi in fila

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Gli impianti, dicevamo. In città ce ne sono almeno 14 di proprietà comunale, ma non tutti sono ben funzionanti e possono essere adeguatamente utilizzati da squadre e federazioni. I problemi dello stadio Angelo Massimino – di cui quest’anno il Catania Calcio è riuscito ad ottenere la gestione – li conoscono un po’ tutti. E le strutture per gli sport minori? Le difficoltà sono tante. Alla fine del 2003 il tetto del PalaCus 2, ad un mese dall’inaugurazione, è crollato durante un temporale. È stato dichiarato inagibile e per più di un anno è rimasto chiuso per ristrutturazione. A Librino un centro polisportivo, Villa Fazio, è stato inaugurato e affidato a privati. È stato distrutto dai vandali, che hanno reso inagibili i nuovi campi di pallacanestro e pallavolo. È ancora chiuso. Secondo Fabio Pagliara «gli impianti in città non sono sfruttati nel modo migliore. Non voglio puntare il dito contro nessuno, ma  posso fare alcuni esempi: il Palanesima ancora non è neanche stato consegnato allo sport; la palestra di attrezzi pesanti e i campi da tennis della Playa non funzionano a dovere».

Tra gli sport che soffrono di più c’è il calcio femminile. «Avevo chiesto alcuni miglioramenti all’impianto – afferma Gianfranco Forza, presidente del Gravina, che attualmente gioca in serie A2 –; l’anno scorso ho dovuto pagare 8.000 euro di multa perché l’amministrazione si era rifiutata di mettere allo stadio un motorino per l’acqua da 200 euro. Gli spogliatoi grandi non funzionano. Ci sono quelli piccoli, ma insieme a noi si allenavano anche i ragazzi, e allora andava a finire che le ragazze venivano spiate. Ho dovuto rinunciare all’attività giovanile. Alla fine ce ne siamo andati a Paternò, e abbiamo fatto bene. Nonostante le promesse, lo stadio di Gravina ancora non funziona».

Chi pratica sport individuali, spesso, se la passa anche peggio. Prendiamo il tiro con l’arco: una disciplina finita in prima pagina l’estate dell’anno scorso, grazie all’oro olimpico di Marco Galiazzo. «Lo so bene – disse allora ai microfoni della Tv il vincitore di Atene –, tra qualche settimana il nostro sport sarà del tutto dimenticato. E se ne riparlerà alle prossime Olimpiadi». In provincia di Catania chi pratica questo sport dispone di un solo campo all’aperto, ad Aci Bonaccorsi. «Un campo privato – precisa Rosario Calcagno, presidente dell’Arco Club Catania, una delle cinque società di tiro presenti nel territorio catanese –. Poi ci sono due impianti al chiuso: uno privato a Catania, uno comunale a Gravina. Per affittare quest’impianto alle società, il Comune chiede circa 450 euro l’anno». E stiamo parlando di una struttura pubblica. Gli impianti, oltretutto, non bastano: «Gli atleti si allenano in media quattro ore alla settimana. Ma spesso a questo tempo, che è comunque poco, bisogna sottrarre quello che si perde ad aspettare che finiscano di allenarsi gli atleti del turno precedente». Alla fine, chi pratica uno sport come questo può farlo solo a proprie spese. «All’esborso per l’affitto bisogna aggiungere una spesa di 2.000 euro per l’organizzazione di ogni singola gara. Senza contare che, quando riusciamo a qualificarci per i campionati nazionali, dobbiamo pagare tutto noi: non c’è nessun rimborso spese, nessuno sponsor. E nessun interesse da parte dei mass media».

Il campo di hockey “Dusmet” e quello di rugby e football americano “Santa Maria Goretti” sono invece ben organizzati. Il primo è stato realizzato in collaborazione tra il Comune e la Federazione Italiana Hockey, che lo ha avuto in gestione per 15 anni. Il Santa Maria Goretti  è gestito direttamente dalle società di rugby e football: «Quando arrivano i calendari – spiega Giuseppe Strano – si riuniscono tutte le società che utilizzano il campo, in modo tale da verificare concomitanze e chiedere alle federazioni di spostare le partite; c’è molta elasticità, noi del football americano abbiamo un ottimo rapporto con Amatori, Scuola Rugby, Fiamma». Questa stagione però è iniziata con qualche difficoltà: il Santa Maria Goretti è stato chiuso per lavori di ristrutturazione. L’Amatori ha quindi cominciato a giocare le partite del “Super 10” alla Cittadella Universitaria. Si prevede che la situazione si risolva in poche settimane. Anche il football americano utilizzerà l’impianto della Cittadella, ma non solo per le emergenze: è lì, infatti, che si svolgerà l’addestramento dei giovani interessati ad avvicinarsi a questo sport.

Il problema degli impianti porta con sé, fatalmente, quello del rapporto con i politici. Giuseppe Strano – figlio di un importante esponente di An – taglia corto: «Noi non abbiamo mai avuto problemi per l’uso del campo. Neanche prima che mio padre diventasse assessore». Meno semplici le cose per chi deve barcamenarsi tra palestre e palazzetti. Nel basket solo le squadre più importanti riescono a gestire gli orari per gli allenamenti. «Le squadre di serie D durante la scorsa stagione non avevano spazio – spiega Giuseppe Laneri, general manager della Virtus di B2 –. Per rendere disponibile l’impianto dove ci allenavamo, il Palazurria, noi ci siamo spostati al Palacannizzaro. Ma per le squadre giovanili la situazione è sempre difficile». Le società di basket, per vivere decentemente, devono andare in pellegrinaggio alla Provincia per ottenere l’assegnazione dei pochi impianti disponibili e per farsi coprire con sponsorizzazioni pubbliche le spese che non riescono a sostenere: «L’onorevole Lombardo è stato di buona volontà nel cercare di favorirci nell’entrare al Palacannizzaro – a dirlo è Nuccia Caracciolo Ragusa, presidente della Virtus –. Per noi ci sono stati costi ulteriori, ma sono stati ammortizzati con una sponsorizzazione della Provincia».

Aiuti, sponsorizzazioni pubbliche, assistenza. Secondo Fabio Pagliara – proposto come assessore allo Sport, nell’ultima campagna elettorale, da Enzo Bianco – questo modello ormai non funziona più. «La contribuzione pubblica è venuta a mancare quasi completamente, il sistema basato sull’assistenzialismo è in crisi. La soluzione, oggi, può essere solo quella di professionalizzare il mondo dello sport in modo che si possa “vendere” il prodotto nel modo migliore». Dunque, la sfida dello sport come moderna impresa, preoccupata – in primo luogo – di far quadrare i bilanci. Oppure, la vecchia pratica dello sport come terreno fertile su cui seminare gratitudine, coltivare successi elettorali. Certo è che, oggi, Catania resta ancora lontana dalla semplice geometria di uno sport di base capace di sostenere – con la sua passione e i suoi talenti – i successi di quello di vertice. Dalla semplice, entusiasmante geometria di una piramide con le facce armoniosamente equilatere.

Loris Casella

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