Alle spalle del cimitero etneo, costruita nel Trecento, dell'abbazia restano un grande cortile con il pozzo saraceno, la schiera di celle di difficile accesso, e la chiesa di Santa Maria di Nuovaluce ormai impraticabile. Sconosciuta da catanesi e turisti, è prima diventata stalla per mucche e poi dimenticata. Guarda il video
La Certosa abbandonata di Catania Dai fasti medievali ai fitti rovi di oggi
Da abbazia a stalla per le mucche. Ignorata dai catanesi e sconosciuta dai turisti. Tra l’erba alta di Fossa della Creta, alle spalle del cimitero etneo, restano le tracce dei fasti medievali dell’unica certosa di Catania: Santa Maria di Nuovaluce. Dietro gli anonimi caseggiati della periferia, un sentiero conduce a uno dei luoghi storici della città. «L’edificio sorge intorno ai resti di una chiesa che la tradizione vuole eretta all’indomani del terremoto del 1169 – spiega Iorga Prato, tecnico archeologo – Secondo i racconti, dal colle emerge un bagliore che guida la popolazione in fuga. Questa luce proviene da un’icona orientaleggiante della Madonna, da quel momento venerata come “di Nuova Luce”». Due secoli dopo, Artale I Alagona – condottiero di nobile famiglia che sconfigge la truppa angioina durante i Vespri nella battaglia navale nota come Scacco di Ognina – decide di costruire il monastero e di affidarlo all’ordine dei Certosini. Una piccola comunità di circa trenta monaci si stabilisce così a Fossa della Creta, a partire dal 1370.
Ma quella che oggi è una verde collina che domina la città si rivela allora un’area malarica. Poco più di dieci anni dopo, i monaci certosini abbandonano la struttura per trasferirsi sull’Etna. Il loro posto viene preso dai frati benedettini e il complesso acquisisce il titolo di Regia Abbazia. Compare così nella planimetria di Van Aelt del 1592. Il secolo dopo arrivano la colata di lava del 1669 e il terremoto del 1693. Superato indenne il primo fenomeno naturale, nel secondo caso l’abbazia ha bisogno di un importante restauro. Dopo, cambiano ancora una volta gli inquilini: saranno i carmelitani scalzi a vivere attorno al grande cortile oggi occupato dall’erba alta. Almeno fino a quando il regime sabaudo non incamera i beni ecclesiastici e l’abbazia viene abbandonata.
«Alcuni frammenti marmorei del cenobio trecentesco, tra cui la stessa lapide di fondazione, sono stati recuperati e destinati al museo civico Castello Ursino, dove sono ancora conservati – spiega Prato – mentre l’icona della Madonna si ammira oggi al museo Diocesano». Il convento, abbandonato al suo destino, finisce per essere adattato in complesso di stalle e ricovero per cavalli e mucche. Oggi, della vita trascorsa durante gli ultimi otto secoli, restano un grande cortile con il pozzo saraceno, la lunga schiera di celle di difficile ma possibile accesso, e la chiesa di Santa Maria di Nuovaluce, impraticabile a causa dei fitti cespugli di rovi. Per lo più dei ruderi, usurati dal tempo e dall’abbandono, coperti dalla vegetazione spontanea, ma che con l’attenzione delle istituzioni potrebbe diventare un’ulteriore attrazione turistica della città.