La casta/ Ars: niente stipendio ai deputati. Come era una volta…

IL POPOLO SICILIANO ABOLISCA LO STIPENDIO SCANDALOSO DEI PARLAMENTARI REGIONALI: NON NE AVEVANO NEL XIX SECOLO, NON NE ABBIANO OGGI

Quest’anno, stiamo assistendo in Sicilia al tracollo ignominioso di quello che fu il Parlamento più antico del mondo, accartocciato su se stesso e morente in senso assolutamente vergognoso. La popolazione siciliana è alla miseria, fuorchè le ‘caste’ degli stipendiati, dei pescecani del mercato nero, dei politici e dei religiosi (che comunque sono una buona metà dei cinque milioni e mezzo della intiera compagine sicula); ma ciò che fa più vergogna è la constatazione che l’aula parlermitana dell’Assemblea governativa è sovente vuota. E’ un vuoto pneumatico non solo dovuto alla inanità del governo del Presidente Crocetta -dopo la fine ignava di quello di Lombardo, l’illusione del cambiamento durò poche settimane-, che fa proclami e non fatti, ma anche l’assenza dei cosiddetti Deputati regionali dai lavori, che impressiona il siciliano oramai sveglio e non più “addùrmisciutu”.
Il lato positivo dell’informazione online alla quale tutti noi operatori ci siamo adeguati, trascinando (anche attraverso gli smartphone) il comune popolo, è che -sia per le news, sia facebook, siano i blog- tutti oramai sanno, o per curiosità, o per interesse, o perchè l’amico ti dice di averlo letto su internet. Pochi rimangono ignari. Per cui le immagini inserite nella rete (da alcuni deputati pentastellati, ci pare) dell’ARS vuota, sono eloquenti. Anche perchè i parlamentari siculi, e anche questo adesso lo sanno anche le pietre, fra stipendi benefit e aggiunte varie, incassano dall’ente regionale circa 20 mila euro al mese. Così come tutti sono edotti della importante decurtazione del cosiddetto “stipendio” autopromossa dai deputati del M5Stelle, unici ad aver istituito questa novità. E’ un segnale di cambiamento, insufficiente ma valido. In ogni caso, la Storia è l’inderogabile “memento”.
E la nostra Storia Patria, ovvero della Nazione Sicilia, ci dice che solo negli ultimi 50-60 anni i cosiddetti Deputati al Parlamento dell’Isola, hanno goduto di quel che si suole chiamare stipendio mensile. E’ a questo proposito opportuno rileggersi, e spesso, le due carte fondative che precedono lo Statuto autonomista del 1946 e di quel documento sono “padri”, ossia la Costituzione cosiddetta “inglese” del 1812 (entrata in vigore l’anno successivo, poi tristamente abrogata tre anni dopo dal medesimo Ferdinando III di Sicilia e IV di Napoli, divenuto I delle Due Sicilie, che dopo 800 anni soppresse il Parlamento e quindi negò dopo averla giurata, la Libertà ai Siciliani), e lo Statuto Costituzionale del Regno di Sicilia del 1848, espressione della rivoluzione antiborbonica durata un anno e quattro mesi nell’Isola (altro che cinque giornate di Milano…!!!), e soffocata nel sangue nell’aprile del 1849 dalle truppe del Principe di Satriano con l’ausilio degli Svizzeri del Reggimento Riedmatten a Catania nella famosa strage dell’aprile di sangue, nonchè col cannoneggiamento delle maggiori città costiere di Sicilia. Quelle Carte costituzionali furono scritte col sangue dei patrioti isolani e sono molto degne, forse più dello Statuto del 1946, della nostra storica epopea.
Basti segnalare che nello Statuto del 1848 l’articolo 2 recita: “la Sicilia sarà sempre Stato indipendente”… Sempre, vuol dire sempre…!
Così la Costituzione del 1812, a proposito del finanziamento dei Deputati, allora divisi all’uso britannico in Camere dei Pari e dei Comuni -non si dimentichi che quella fu la Costituzione che aprì l’Isola al mondo moderno perchè abolitrice della feudalità, del maggiorascato, dei fidecommesso, rivoluzionaria e quasi ‘eversiva’ dell’antico ordine feudale siciliano il quale, se non andò in pezzi da subito, venne disgregato negli anni a venire mercé quel fenomenale documento, come attesta la realtà dei fatti e comprovano tutti gli storici della Sicilia, specie gli stranieri, britannici in testa- precisava, al Capo VI paragrafo 10: “Qualunque persona eletta sia come rappresentante di un distretto, sia di una città o terra parlamentaria, dovrà recarsi in Palermo a proprie spese; qualora le università volessero dai sopravanzi contribuire alle dette spese, saranno in tal caso in libertà di farlo; ben vero la sovvenzione non potrà eccedere un’oncia al giorno, e ciò dovrà farsi col consenso del consiglio civico”. In altri termini, se i Pari ovvero i Signori, era logico avessero i mezzi per gestire quella carica, era anche normale l’avessero i Deputati dei Comuni ossia i rappresentanti di città e distretti siciliani, perchè erano eletti (si stabilisce in altro capo del documento), in base alla rendita personale, al proprio patrimonio: ma qualora abbisognassero di un contributo, la costituzione stabiliva che solo i Comuni (università) potevano darlo, in misura ridotta e dopo l’assenso di tutta l’assemblea dei consiglieri.
Pensate se oggi uno qualunque dei Deputati siciliani debba pagarsi l’onore di essere tale dalle proprie tasche, senza sperare rimborsi dalla Regione; se osasse chiedere finanziamenti al proprio Comune di pertinenza, questi gliene concederebbe pochi (un’oncia al giorno, come dire dieci euro…) e solo dopo che il Consiglio comunale verifichi se costui lo meriti…!
Siamo nel medioevo oggi, o nel 1812-13? Ognuno tragga le conclusioni. Siamo nella “dittatura” oggi o in quel tempo?
Lo Statuto del 1848, scritto fra l’altro basandosi sulla Costituzione del 1812 (che richiama in più punti), in frangenti di grande eccitazione politica e fremiti di libertà mondiale, teneva lievemente conto della mutazione dei tempi e dei problemi che i Deputati e Senatori rappresentanti del popolo Siciliano (così in quella carta erano nominati), ma non mutava atteggiamento a proposito dei finanziamenti ad essi. Neppure cennava ai Senatori per questo tema, essendo essi come i Pari del 1812 perfettamente in grado di autofinanziarsi, ma per i Deputati, similmente al documento pregresso, precisava all’articolo 15: “Potranno i Comuni concedere ai Rappresentanti per il periodo delle sessioni una indennità non eccedente tarì venti al giorno, tranne a coloro che risiedono nella Capitale“. Già nel 1848, come si nota e piacerà a qualcuno oggi, i Deputati di Sicilia erano formalmente appellati “Rappresentanti”, perchè questo e solo questo erano e dovevano essere, portavoce o rappresentanti del loro popolo: per alcuni di costoro che ne avevano necessità -ma anche la carta costituzionale quarantottesca definiva l’elezione essere deliberata per censo e rendita personale, quindi era sempre minimo il numero di coloro che potevano ricorrere ad un eventuale contributo o rimborso dei Comuni- i consessi civici potevano dare venti tarì al giorno (un pochetto più della misera oncia del 1812, ma neppure tanto differente: si intuisce da ciò che erano più cifre simboliche che altro), aggiungendo la novità che i residenti in Palermo ne erano esclusi.

La logica regnava sovrana in quei giorni di ideali, non l’arzigogolo delle ruberìe legalizzate. E del resto come potrebbe essere stato diversamente, se fra i capi dell’insurrezione sicula del 1848 vi furono, e citiamo solo due nomi altissimi, Ruggero Settimo e Michele Amari, i quali poi scontavano con l’esilio la prova di libertà contro la tirannide, e fu proprio fra Malta e Parigi (dove poi vide la luce) che l’illuminato Amari scrisse quell’opera che valicherà i secoli, ovvero la “Guerra del Vespro”, nonchè la “Storia dei Musulmani di Sicilia”! Questi erano gli uomini, davvero d’onore, allora. Si aggiunga infine che i lavori del Parlamento sia nel 1812-13 che nel 1848-49 erano stabiliti non dover durare un quinquennio come oggi, ma convocarsi l’assemblea almeno una volta all’anno, e per non più di tre mesi; l’ufizio di Deputati e Senatori (nel 1848) era stabilito in due e sei anni, rieleggibili. Ma sempre senza alcun indennizzo pubblico, come abbiamo visto.
Per chi è cristiano, citiamo San Paolo, lettera prima a Timoteo (6,9-10): “Quelli invece che vogliono abbondare in ricchezze, cadono nella tentazione, nei lacci, in molte cupidigie insensate e funeste che sommergono gli uomini nella rovina e nella perdizione. Infatti la radice di tutti i mali è l’amore per il denaro. E alcuni che hanno cercato di averlo si sono smarriti lontani dalla fede e si sono trafitti con innumerevoli tormenti”.
Non troviamo altra spiegazione, pure laicamente, all’ingordigia dei nostri attuali Deputati regionali i quali sono peraltro garantiti dalle leggi dai loro immediati predecessori nei decenni precedenti esperite riguardo i loro “stipendi”, che questa paolina, di un convertito alla Luce: “la radice di tutti i mali, l’amore per il denaro”. Ma forse quel 53 % di Siciliani, cioè la maggioranza, e non lo si dimentichi mai, che nell’ottobre del 2012 non è andata a votare -caso mai accaduto dal 1946- ha compreso questo, che i nostri rappresentanti vanno a Palermo solo perchè assetati di denaro per se medesimi, e non li ha più votati? La gente non è stupida o “ammùccalapuni” come poteva esserlo negli anni passati. Sarà pure in parte mentalmente corrotta, collusa, connivente, complice: ma stupida, no.
Quale soluzione allora? Il governo attuale e il Parlamento tutto, non si autocastreranno finanziariamente, è impensabile, oltre le chiacchiere da salotto: non prima almeno di aver svolto più della metà della (falsa, poichè sono stati votati, tutti, dalla minoranza dei siciliani) legislatura, con l’unico scopo di maturare i requisiti pensionistici. Il “caso” dei deputati pentastellati, che comunque conservano un rimborso spese di 2500 euro che è pure una enormità (se avessero letto le Costituzioni siciliane predette, e i loro ‘santoni’ approvavano, potevano scegliere di imitare dignitosamente i predecessori del XIX secolo…), è isolato e non sarà imitato dalla ‘casta’. Unica via è una legge di iniziativa popolare, che raccolga le firme, almeno diecimila, dei siciliani tutti, onde riportare la situazione dei deputati al Parlamento siciliano alle condizioni dettate dalle Carte costituzionali del 1812 e del 1848.

E nessuno ci dica che ciò è antimoderno: poichè negli Stati Uniti, nazione all’avanguardia del progresso, i Deputati e Senatori del Congresso finanziano essi stessi la loro campagna elettorale, e i loro “supporters” pagano di tasca propria le reclàme durante il periodo della propaganda. Vada a rappresentare i Siciliani chi ha la rendita personale per farlo, e alla Regione Siciliana non sia consentito di dare un solo euro, o grano (se si intende adottare la moneta complementare di cui si parla molto ultimamente), a costoro. Se poi i Comuni intendono finanziare chi rendita personale non ha o l’ha minima, si deliberi al consiglio comunale e si verifichi la cifra e l’operato del beneficiario del sussidio. Non palermitano, certo, perchè per fare due passi nella medesima città fino a palazzo Reale può andarvi a piedi. Se invece un Deputato di Misilmeri o di Acireale deve andare lì a rappresentare i siciliani, presenti dipoi gli scontrini del biglietto dell’AST ai comuni propri, e questi glieli rimborseranno.

E pace. Fantapolitica, vi pare? Ma è una nazione civile, quella che ci permettiamo di delineare. Lo era la Sicilia nel 1812, lo era nel 1848 in piena guerra, volete che non lo sia nel 2013? E citiamo sempre esempi nobili: qualche settimana fa al Parlamento britannico si dibattè su l’eventuale sostegno agli USA per quella che si profilava essere una azione militare, poi per fortuna abortita, contro la Siria: ebbene il Premier Cameron è stato costretto a dire al Presidente Usa Obama che no, il Parlamento di Sua Maestà si oppone in maggioranza ad un eventuale finanziamento di missione militare, perchè…. ci sono i disoccupati britannici prima, da aiutare! Il tutto in diretta tv.
Questo è un popolo. Se vogliamo, prendiamo esempio. Se vogliamo. E senza dimenticare che furono i biondi Normanni con gli occhi chiari, cugini dei Normanni che contemporaneamente combattevano ad Hastings, a fondare il Parlamento (“Curiae generales”) in Sicilia nel XII secolo. Forse i Normanni violentavano le donne, come alcuni scherzosamente dicono, ma almeno erano civili politicamente: si pensi alle monete con scritte cufiche, latine, greche, della sicilia degli Hauteville. Cerchiamo di essere seri e liberarci dalle catene. Se vogliamo.
Francesco Giordano

 


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