La Carini dei vecchi nomi e dei vecchi affari «Bruci un’auto e poi bruciano tutte a tappeto»

«Te ne faccio andare da Carini, se lo dico io, a te con tutta la famiglia». Quando Antonino Di Maggio si mette in testa una cosa, è difficile distoglierlo. Specie quando si tratta di difendere i confini del suo territorio e gli affari di cui, per gli inquirenti, sarebbe l’abile ma non troppo fantasioso regista. È il 2006 quando, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, diventa il nuovo reggente della famiglia mafiosa di Carini, prendendo il posto del cognato appena arrestato, Vincenzo Pipitone. Lo raccontano, oggi, anche alcuni collaboratori di giustizia che lui, ‘u zio Nino, a Carini comanda tutti e tutto. Viene tenuto sotto osservazione dal 2012 fino al 2016 (anno in cui torna in galera per l’omicidio di Giuseppe Mazzamuto e Antonino Failla), in pratica dal suo ritorno in libertà una volta finita di scontare la condanna a sette anni per mafia. «Vanta un curriculum criminale di tutto rispetto», per citare le carte dell’indagine, il suo nome è uno di quelli che nell’84 figura tra i destinatari di un mandato di cattura dell’allora consigliere istruttore Antonino Caponnetto. Un nome, insomma, che non fa che tornare. Come se, uscito di prigione, lo zio Nino non sapesse proprio cos’altro fare se non riprendere i vecchi affari di una volta. Pizzo e droga in testa.

Ma il suo ruolo non sembra aver avuto alcun limite. È lui, per gli investigatori, che può autorizzare ogni tipo di azione, da quelle criminali a quelle lecite. Se vuoi fare qualcosa a Carini, che sia incendiare un’automobile o aprire un’attività, devi passare da lui. E lì pare lo sappiano tutti, a lui e ai suoi più fidati sodali gli basta presentarsi per ottenere l’effetto di paura sperato. Ma da quanto emerso dall’indagine, questo tipo di consapevolezza l’avrebbe avuta anche chi non era del posto. «Gli parli ‘ncapu manu, non crearti problemi – raccomanda ad esempio a un picciotto, che deve riferire per lui un messaggio -. Gli dici a questo di Trapani che si fa il trapanese, gli dici “Qua siamo a Carini non siamo a Trapani! Fin quando a me mi sta bene ti do i soldi, quando mi secca non te ne do più, perché già i cristiani di qua li vogliono loro, perché li devo dare a te?”». Di Maggio rivendica insomma la competenza dei cristiani di Carini e quindi la sua competenza quale reggente della famiglia sulle attività economico-commerciali che si svolgevano sul territorio. «Io se devo fare la guerra la faccio», ribadisce lo zio Nino, ignaro di essere intercettato.

Se Di Maggio ti accorda il suo permesso, puoi avere campo libero, per quello che può significare. Ma se nemmeno glielo chiedi, allora probabilmente non aprirai mai nessun tipo di attività. Come è accaduto a un panificio dove era già in corso la ristrutturazione («Ci stanno facendo i lavori, già il laboratorio pronto ce l’hanno»): «Qui non ha nulla da fare! – è stata infatti la dura replica del boss -. Ma questo viene a fare un po’ di danno con questa rosticceria a un euro, a 50 centesimi…Un macello. Ci deve andare il Condor (alias di Vincenzo Passafiume, anche lui arrestato nel blitz ndr) a cambiargli la testa». È il febbraio del 2016. I giorni passano, ma Di Maggio proprio non riesce a togliersi un simile sgarbo dalla testa e continua a tornare sul fattaccio. «Questo becco, prima se lo va a fare lì sopra e ora pure qua sotto! Vacci a scassare la minchia va!! Non sei lì sopra?! Non campi li sopra?! Vacci a rompere la minchia dalle parti di lì sopra!! Invece di rompere la minchia dalle parti di qua sotto!!», urla infuriato coi suoi. E se il suo controllo è indispensabile per le attività lecite, figurarsi per quelle illecite. Nessuno deve sgarrare, specie i picciotti della famiglia, che più di tutti hanno bisogno del suo consenso.

Lo ha scoperto sulla sua pelle anche Fabio Daricca, un altro di quelli coinvolti nell’indagine e già in galera, reo secondo Di Maggio di aver bruciato quattro macchine a sua insaputa: «Te ne faccio andare da Carini in 24 ore, a te con tutti quanti siete! Te ne faccio andare a te, con tua moglie e i tuoi figli. Stai attento dove metti le mani». Quello delle auto bruciate è un peccato per il quale serviva sempre il placet di Di Maggio, anche perché valeva come messaggio chiaro nei confronti dei possibili rompiscatole che era meglio allontanare da Carini, oltre a essere il solito vecchio metodo vincente per intimidire chi non vuole piegarsi alle richieste del clan. «Te lo dico io come devi fare? È facile facile, esci la macchina tua e di qualche amico e prendi e li bruci tutte, tutte a tappeto! Perché appena prende una prendono tutte. Gli bruci la macchina fuori e lui qua comincia a strantuliari e dice: “Minchia qua sono!” Più facile di questa! Butti un cerino e te ne vai. Pure dentro casa, benzina e si anneriscono tutte cose, gliela butti sotto la porta». Le maniere forti, insomma, sembrano il linguaggio preferito dal clan. «Avantieri lo stavano vattiannu là. Nino Di Maggio lo aveva acchiappato… se non glielo toglievamo lo ammazzava», commenta un sodale intercettato.

Maniere forti che si rivelano fondamentali soprattutto nella conduzione dei vecchi affari. E se il capo famiglia finisce in galera, ci pensano i suoi picciotti a portare avanti i modi e le attività. È quello che succede a un noto imprenditore del settore dell’abbigliamento, che a Carini ha una fabbrica che funge da deposito di abiti. Paga regolarmente la messa a posto, non vuole avere problemi, ma quando nel 2006 Di Maggio torna in cella, a prendere in mano la situazione sono i suoi uomini più fidati, che non solo non lo lasciano in pace, ma che per tutta risposta avanzano all’imprenditore nuove richieste: dall’assumere soggetti precisi nei nuovi negozi di Palermo all’installazione di maxi schermi pubblicitari in un particolare punto vendita in città. E poi c’è la cara vecchia droga, che frutta i guadagni più consistenti. Spesso veniva conservata dentro edifici abbandonati, come quello di via Iccara. Quello della droga è il business sul quale ruotano i maggiori affari della famiglia di Carini: detenzione, spaccio, ma anche produzione. Un’immagine che sembra riportarci di colpo alla Carini di 40 anni fa, dove a morire, qualche chilometro più lontano, nell’atrio di un albergo di Villagrazia di Carini era Carmelo Iannì, colpevole di aver aiutato gli inquirenti a incastrare alcuni chimici venuti appositamente da Marsiglia per cucinare la droga. Malgrado i posti non troppo segreti e anzi esposti pubblicamente per non dare nell’occhio e il codice usato che trasformava, ad esempio, una partita di coca in una mantellina da scambiarsi, il loro business è venuto comunque a galla.


Dalla stessa categoria

Ricevi le notizie di MeridioNews su Whatsapp: iscriviti al canale

I più letti

Dal controllo della velocità alla segnalazione di un imminente pericolo. Sono gli Adas, i sistemi avanzati di assistenza alla guida che aumentano non solo la sicurezza, ma anche il comfort durante i viaggi in auto. Più o meno sofisticati, i principali strumenti Adas sono ormai di serie nelle auto più nuove, come quelle a noleggio. […]

Un aiuto concreto ai lavoratori per affrontare il carovita. Ma anche un modo per rendere più leggero il contributo fiscale delle aziende. Sono le novità introdotte dalla conversione in legge del cosiddetto decreto lavoro, tra cui figura una nuova soglia dell’esenzione fiscale dei fringe benefit per il 2023, portata fino a un massimo di 3mila euro. […]

Sono passati tre anni da quando un incendio ha distrutto l’impianto di selezione della frazione secca di rifiuti a Grammichele (in provincia di Catania) di proprietà di Kalat Ambiente Srr e gestito in house da Kalat Impianti. «Finalmente il governo regionale ci ha comunicato di avere individuato una soluzione operativa per la ricostruzione e il […]

«Era come avere la zip del giubbotto chiusa sopra e aperta sotto: ecco, noi abbiamo voluto chiudere la zip di questo giubbotto». Indispensabile se si parla di Etna, dove fa sempre fresco. È nato così CraterExpress, la nuova proposta che permette di raggiungere la vetta del vulcano a partire dal centro di Catania, con quattro […]

Sul nuovo social network X, tale Esmeralda (@_smaragdos), commenta un articolo del Domani a proposito dei finanziamenti alla Cultura elargiti dai Fratelli d’Italia siciliani: «Amici, soldi (pubblici) e politica. In Sicilia tutto fa brodo. Su questo penso non leggerò un commento croccante di Ottavio Cappellani. Perché gli amici so’ amici, gli ex amici so’ nemici». […]

Dodici mesi, 52 settimane e 365 giorni (attenzione, il 2024 è bisestile e quindi avremo un giorno in più di cui lamentarci). Un tempo legato da un unico filo: l’inadeguatezza. Culturale, innanzitutto, ma anche materiale, davanti ai temi complessi, vecchi e nuovi. Difficoltà resa evidente dagli argomenti che hanno dominato il 2023 siciliano; su tutti, […]

Il seme del cambiamento. Timido, fragile e parecchio sporco di terra, ma è quello che pare stia attecchendo in questi ultimi mesi, dopo i più recenti episodi di violenza sulle donne. In principio, quest’estate, fu lo stupro di gruppo a Palermo. In questi giorni, il femminicidio di Giulia Cecchettin in Veneto. Due storie diverse – […]

Mai come in campagna elettorale si parla di turismo. Tornando da Palermo con gli occhi pieni dei metri di coda – moltiplicata per varie file di serpentina – per visitare la cappella Palatina e qualunque mostra appena un piano sotto, lo stato di musei e beni archeologici di Catania non può che suscitare una domanda: […]

Riforme che potrebbero essere epocali, in termini di ricaduta sulla gestione dei territori e nella vita dei cittadini, ma che sembrano frenate dalla passività della politica. Sembra serena ma pratica- e soprattutto, attendista – la posizione di Ignazio Abbate, parlamentare della Democrazia Cristiana Nuova chiamato a presiedere la commissione Affari istituzionali dell’Assemblea regionale siciliana. Quella […]

Dai rifiuti alla mobilità interna della Sicilia, che avrà una spinta grazie al ponte sullo Stretto. Ne è convinto Giuseppe Carta, deputato regionale in quota autonomisti, presidente della commissione Ambiente, territorio e mobilità all’Assemblea regionale siciliana. Tavolo di lavoro che ha in mano anche due leggi su temi particolarmente delicati: urbanistica e appalti. Con in […]

Dall’agricoltura alle soluzioni per il caro energia; dalle rinnovabili di difficile gestione pubblica allo sviluppo delle imprese bandiera del governo di Renato Schifani. Sono tanti, vari e non semplici i temi affidati alla commissione Attività produttive presieduta da Gaspare Vitrano. Deputato passato dal Pd a Forza Italia, tornato in questa legislatura dopo un lungo processo […]