La Camera approva, gli studenti no

«Fermatevi», hanno gridato in migliaia in tutta Italia. Ma non li hanno ascoltati. Nella capitale, in un clima da presa della Bastiglia, il disegno di legge sulla riforma dell’università è passato alla Camera con 307 sì e 252 no, dopo un’intera giornata di discussione e un primo stop la settimana scorsa. Ora il ddl continuerà la sua strada per diventare legge.

Un risultato atteso sul tetto della facoltà di Architettura di Roma, capitale del mondo universitario in protesta. «Ma noi continueremo a stare qui, c’è ancora l’appuntamento in Senato» spiega Gianni Piazza, ricercatore e docente della Facoltà di Scienze Politiche di Catania. Il professore fa parte della Rete29Aprile, il coordinamento nazionale dei ricercatori, e – come Step1 vi ha raccontato nei giorni scorsi – dal 22 novembre è sul tetto ormai più famoso d’Italia.

Da quel cornicione di piazza Borghese si vedono bene Montecitorio e le vie attorno, dove oggi hanno sfilato almeno in 30mila tra ricercatori, universitari e studenti delle scuole superiori. Un corteo partito intorno alle 10 del mattino al grido di «Quale futuro tra queste macerie?» e diretto verso Montecitorio, dove intanto si discuteva la riforma. «C’era un clima davvero pesante», racconta Piazza, «era tutto blindato e facevano passare solo i residenti». Traffico in tilt, i cittadini romani costretti a mostrare un documento per passare, niente mezzi pubblici. Persino il transito dei furgoni diretti ai negozi è stato deviato per piazza Fontana di Trevi, di solito riservata ai pedoni. «Anche i romani dicono che non si era mai vista una cosa così», spiega stupito il professore, «purtroppo avevamo la sensazione che potesse succedere qualcosa».

E infatti, cresce la tensione e iniziano le cariche. I passanti e i turisti si rifugiano nei negozi, per paura di essere coinvolti. Dopo il lancio di oggetti, verdura e – pare – qualche pietra, alcuni studenti avrebbero danneggiato e tentato di rovesciare due mezzi blindati delle forze dell’ordine che sbarravano l’accesso a Montecitorio. «Noi ricercatori in quel momento eravamo già tornati a presidiare il tetto», racconta Piazza, «ma non mi sembrava di aver visto studenti armati, se non con libri di gomma piuma». Stesso copione anche a Bologna, dove il corteo ha occupato l’autostada A14 e la tangeziale, all’uscita 7. Durante i disordini, sarebbero rimasti feriti una decina di ragazzi e tredici tra poliziotti e carabinieri.

Alla Camera intanto – in una strana legge del contrappasso – anche il Governo soffriva, battuto due volte sugli emendamenti promossi dall’opposizione, quella ufficiale e quella interna di Futuro e Libertà. E, nel pomeriggio, mentre i deputati concludono la discussione degli emendamenti, gli studenti romani abbandonano l’idea di «assaltare i luoghi sacri della democrazia», come ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni. Si dirigono verso la stazione di Termini, in un corteo in mezzo alle auto e agli automobilisti che applaudono, nonostante i rallentamenti. Dopo un paio d’ore di occupazione dei binari – che ha costretto Trenitalia a spostare parte del traffico alla stazione Ostiense – i manifestanti sono tornati al quartier generale, l’università romana La Sapienza, in attesa del voto finale dei parlamentari.

Un voto negativo, secondo chi protesta, ma scontato. Adesso i ricercatori della Rete attendono che vengano pubblicati gli emendamenti approvati oggi, per capire quanto effettivamente siano migliorativi. Almeno su un punto, però, hanno già le idee chiare: la chiamata di professori di seconda fascia per cui la riforma ha deciso di riservare una parte dei fondi «è un contentino», commenta Gianni Piazza. Una quota prevista fino a 13 milioni di euro per il 2011, 93 milioni per il 2012 e 173 all’anno a partire dal 2013. Conti fatti senza l’oste – il ministro dell’Economia Giulio Tremonti – considerato che non è stata ancora approvata la legge di stabilità (la vecchia finanziaria) che dirà se la riforma dispone della copertura economica o no. «Pensano così di farci scendere dai tetti», continua il docente, «ma noi resteremo, perché non vogliamo nessuna promozione in questa università».


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