“La bisbetica domata”, con un difetto un po’ difettoso

Il titolo dell’opera nelle intenzioni del suo originale autore è “The Taming of the Shrew”. Ciò denota che al centro della storia non vi è, come sarebbe ovvio pensare, la ribelle Caterina, la bisbetica in questione, bensì la conquista da parte di colui che solo riuscirà a dominarla, ovvero Petrucchio. In realtà non sarà operazione facile, ma alla fine potrà esultare per il risultato ottenuto: una moglie fedele ed obbediente, che mai tradirà la sua fiducia. Su un palco disadorno, nello sfondo di un cielo nuvoloso e cupo, i due protagonisti danno vita al tema dell’eterno conflitto fra il mondo maschile e quello femminile, i due archetipi fondamentali della vita.

Come omaggio alla grande tradizione elisabettiana, il sodalizio Tarasco-Solenghi ha voluto ricalcare le orme di quelle lontane consuetudini, così come accadeva nell’Inghilterra del XVI e del XVII secolo, presentando un cast di soli uomini. Il pubblico non assisterà a dei travestimenti o a delle forme di comportamento effeminate da parte degli attori, che saranno molto naturali e non troppo sdolcinati, per non travisare il senso profondo della storia. Lo stesso Tullio spiega così questa scelta di affrontare il testo antifemminista per eccellenza con una Compagnia di tutti uomini: “Come prima cosa abbiamo sgomberato il campo da qualsiasi equivoco di “versione en travestì”, oggi di gran moda, per rimanere fedeli alla tessitura Shakespeariana, senza alterare il giusto equilibrio tra i ruoli. La traduzione di Masolino D’Amico è stato il degno suggello alla nostra operazione”.

I due co-autori hanno anche operato un’altra variazione alla trama rispetto all’originale. Se infatti nella commedia shakespeariana l’ubriacone Sly, raccattato al suo risveglio da un Lord riccamente vestito che gli fa credere di essere stato addormentato per anni, assiste ad una rappresentazione di attori girovaghi, dal titolo “La bisbetica domata” per l’appunto, nella rivisitazione firmata Tarasco-Solenghi il nobile Petrucchio è l’alter ego del mendicante Sly, in una sorta di sogno ad occhi aperti, quasi un gioco di specchi, in cui il burlato si farà strada da solo, diverrà autonomo fino a diventare egli stesso il burlatore. Questa progressiva metamorfosi è brillantemente espressa da un professionista, quale Tullio Solenghi, convincente in entrambi i ruoli: divertente e buffo prima, dispotico e arrogante dopo. Colonna sonora a testimonianza del nuovo Sly sono “Voglio vivere così” di Ferruccio Tagliavini e le note di “This is a male world”.

Il resto degli attori riesce a trasmettere la sintonia che si è raggiunta. In abiti giullareschi, coloratissimi, ognuno col proprio verso distintivo a caratterizzare un tipo farsesco, e le loro voci modulate, a tratti storpiate, tutti insieme riescono a fornire una chiara idea di una “Compagnia di Pazzi”! E l’opera, restando fedele alle intenzioni grottesche del padre William, risulta una gran “Carnevalata”, come afferma lo stesso Petrucchio in scena. Degna di nota una Caterina (Francesco Bonomo) che sa tenere testa al suo compagno-rivale, in un gioco delle parti in cui i due protagonisti si battono dinanzi al loro pubblico, come su un ring.

Una nota tecnica: l’audio non eccellente. Commenti in sala? Shakespeare si rivolterebbe nella tomba! Insomma, andate senza alcuna aspettativa e godetevi lo spettacolo!


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