La ballata di Margherita, le storie della Sicilia tra le dita Marco Siino: «Canzone di rabbia, l’ho scritta in una notte»

Due maiali in giacca e cravatta ballano. Dietro le sbarre di nastro segnaletico, quattro ragazzi assistono allo spettacolo, hanno i volti coperti da un tessuto bianco. Margherita cammina. E poi un mercato storico, Mondello, piazza Pretoria. In sottofondo suona il rock. Marco Siino torna, dopo Really don’t know (2015) e Chiara (2017), con un nuovo videoclip, La ballata di Margherita, in uscita dal 10 aprile.

Il singolo, lanciato nel settembre 2018 insieme a Tele, cicale, sferra e tramonto beat, fotografa l’isola nelle sue contraddizioni. Bella ma dannata, la Sicilia dai panorami mozzafiato e una storia intrisa di sangue. Sole, mare, scambi di favori. «Questa canzone è nata in un momento di sfogo, di rabbia. Erano le sessioni di registrazione di Chiara, avevo appena preso atto dell’ennesima schifezza – spiega il cantautore – mi sono alzato, ho preso la Telecaster e ho iniziato a suonare un riff di chitarra. Poi ho iniziato a cantare, dei vocalizzi, non in italiano o inglese ma in siciliano: una cantilena. Ho iniziato a scrivere delle parole, in una notte l’avevo già finita».

Mafia, malaffare, corruzione, concorsi pubblici, barche, granite, sole e pupi. «Margherita è la Sicilia – svela Siino – ci sono tante storie tra le sue dita: i cervelli in fuga, lo scambio di favori, le raccomandazioni, le guerre di mafia, le stragi degli anni 90. E’ donna perché la donna è l’essere perfetto. Le ragioni per cui si chiama Margherita e non Piera o Filippa – continua – risiedono esclusivamente nella metrica della parola: suonava meglio».

La ballata di Margherita è il primo brano pubblicato da Siino in lingua italiana, nel testo anche qualche strofa cantata in siciliano. «Ogni concetto ha una sua lingua – spiega – Chiara parlava di ricerca di Dio, dei propri sogni, di sofferenza e rinascita. Mi faceva pensare molto al sogno americano. Margherita parla di certi atteggiamenti tipici, per niente meritocratici, soprattutto nel pubblico qui a Palermo, in Sicilia. Parla della sofferenza di tanti ragazzi in gamba che se ne devono andare pur essendo più bravi di chi resta, non puoi raccontarlo in inglese, non funzionerebbe».

Il cantautore palermitano scardina inoltre quello che è uno dei luoghi comuni più radicati nella musica. «Scegliere una lingua piuttosto che un’altra – continua – significa scegliere un rapporto di suoni per le singole parole differente. E l’italiano è la lingua più articolata di tutte, sia come accenti che come vocaboli, dà la massima libertà espressiva in fatto di composizione musicale. L’inglese è molto più semplice ma dà molte meno possibilità».

Ad accompagnare il lancio del videoclip su facebook, un lungo commento del cantautore. In cui scrive che «anche oggi Palermo ha fatto circa 33 vittime. Perlopiù trentenni, come me. E no, nessun giornale ne parla». Racconta Siino: «Quando scrissi la canzone uscì un articolo, diceva che in un anno da Palermo se n’erano andate circa 12 mila persone. Io feci la divisione per il numero di giorni e venne fuori un numero che variava tra il 32 e il 34. Trentatre è un numero più importante, sono gli anni di Cristo, è qualcosa di sacro come numero, c’è il tre due volte. Trentatre sono il numero di giri degli ignudi che fanno in un minuto».

Enigmatico e pieno di impliciti anche il videoclip del brano. «Le persone con il sacchetto in testa sono il popolo – spiega – mi piaceva mettere il sacchetto bianco perché richiama il triste periodo dell’isis. Il popolo non viene ascoltato: a loro si chiede di votare ma ogni volta che votano qualcosa in realtà poi i governanti scelgono altro. Chi si ribella muore». Cantautore, compositore, ma anche regista, Marco Siino mette in scena un sistema corrotto. Protagonisti due maiali in giacca, cravatta e uno scimpanzé. «Un braccio e due menti – commenta – sono i governanti. Spesso anche se siamo convinti sia uno a governare, a fare delle scelte (lo scimpanzé) in realtà c’è dietro qualcun’altro che sta pilotando tutto (i maiali)».

La musica gioca un ruolo centrale all’interno del sistema: riesce a stordire i tre maiali portandoli alla morte. Ne rimane però uno in giro che, munitosi di coltello e cuffie insonorizzate, si avvicina al cantautore. Il finale rimane aperto. «Alla fine potrebbe avermi ucciso e quindi il maiale prende la mia Telecaster e la suona -conclude Siino – oppure l’altra chiave di lettura è che io mi corrompo: il maiale con la Telecaster sono io, il sistema mi ha corrotto». E’ chiaro il riferimento alla Fabbrica degli animali di George Orwell; tra le citazioni risalta anche, in una clip, la copertina di Abbey Road dei Beatles.

Maria Vera Genchi

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