Juncker, l’uomo che calpesta la democrazia, a capo della Commissione europea

SOLO CHI IGNORA LA STORIA DEL POPOLARISMO PUO’ PENSARE CHE IL NUOVO CAPO DEL GOVERNO DELL’UNIONE SIA UN SEGUACE DI STURZO. QUESTO PERSONAGGIO INQUIETANTE, COINVOLTO IN UN PESANTE SCANDALO SULLA GESTIONE DEI SERVIZI SEGRETI NEL SUO PAESE (LUSSEMBURGO), E’ LA NEGAZIONE DEL SOLIDARISMO STURZIANO E DELLA PARTECIPAZIONE POPOLARE. ECCO IL SUO STILE DI GOVERNO:

“Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere cosa succede. Se non provoca proteste, né rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno”.
QUESTA LA LA ‘NUOVA’ EUROPA…

Quando sono state annunciate le nuove elezioni europee, più di una persona ha pensato che, forse, qualcosa stava cambiando nel modo di gestire la cosa comune: per la prima volta gli elettori avrebbero potuto eleggere non solo i membri del Parlamento (organo che dispone di poteri ridicolmente limitati), ma anche il presidente della Commissione Europea (sopra, a destra, il nuovo presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker: foto tratta da europeanul.org)

Poi, recandosi alle urne, si è visto che, in realtà, il presidente della Commissione non sarebbe stato eletto dagli “elettori europei”, ma dal Parlamento europeo. Subordinando, in questo modo, la decisione ad accordi trasversali e beghe di ‘Palazzo’ indescrivibili. Molti, nei giorni scorsi, hanno avuto la prova che, purtroppo, i loro timori erano fondati. Dopo alcune settimane di incontri e “inciuci”, è stato nominato il nuovo presidente della Commissione Europea.

Anzi, per essere precisi, il termine “nuovo”, parlando di Jean Claude Juncker, è decisamente fuori luogo. Innanzitutto perché non è una figura politica “nuova”. La sua carriera politica, iniziata nel 1982, è stata un crescendo rapidissimo fino a quando il capo del governo lussemburghese, Santer, fu nominato presidente della Commissione europea e si dimise. Il granduca nominò Jean-Claude Juncker Primo Ministro. Era il 20 gennaio 1995. Da allora Juncker ha tenuto nelle proprie mani l’intera gestione del piccolo stato lussemburghese dato che ha continuato ad esercitare le funzioni di Ministro delle Finanze, Ministro del Lavoro e Ministro del Tesoro. Praticamente l’intera gestione del Paese.

Così fino al luglio del 2013, quando ha dovuto presentare le proprie dimissioni in seguito ad uno scandalo legato ai servizi segreti: un’inchiesta lo aveva inchiodato e indicato come incapace di controllare l’intelligence, che aveva agito come una “struttura di polizia segreta”, compiendo migliaia di intercettazioni illegali, organizzando missioni fuori dal suo mandato e addirittura facendo affari rivendendo berline di grossa cilindrata. Il tutto sotto i suoi occhi …..chiusi.

A provare la sua responsabilità delle intercettazioni che portarono alla luce anche altri “fatterelli” non secondari. Come quella di aver “infiltrato” il suo ex autista nello Srel, i Servizi segreti lussemburghesi… Come spesso capita per importanti uomini politici, però, riuscì a non finire in galera.

Nel frattempo, l’attenzione di Juncker si era trasferita all’estero (tanto che la gestione interna delegata al suo delfino, Luc Frieden, aveva causato qualche “problemino” a causa di controversi accordi commerciali con il Qatar, tra cui quello su Cargolux).

Nel frattempo, su Juncker hanno continuato ad emergere numerosi “pettegolezzi”. Il tabloid britannico Mail on Sunday ha scritto: “Una fonte diplomatica ha riferito: ‘Si dice che Juncker beva cognac a colazione’”. E continua, citando un inviato Ue: “Il fatto che Juncker beva è il segreto peggio custodito a Bruxelles”.

Il vero problema di Junker, però, non è il suo consumo di alcolici, né il modo in cui ha gestito il Lussemburgo per un ventennio e nemmeno il fatto che sia stato scelto (e non eletto) in modo come al solito poco chiaro (del resto, il Trattato di Lisbona da anni ormai dovrebbe aver abituato gli europei a un modo di gestire la cosa comune così farraginoso da essere spesso incomprensibile e i media fanno il resto: pochi TG hanno riportato la notizia che Juncker è stato eletto con una maggioranza di poco superiore alla metà dei votanti e che quasi un quarto dei delegati che hanno diritto al voto non si è presentano alle votazioni).

Il vero problema è che la nomina del neoscelto presidente della Commissione Europea è stata presentata da molti come una vittoria “popolare”. Anzi, c’è stato chi come Angelino Alfano, ha parlato di “popolarismo”.

“Il Ppe ha scelto un candidato con grande competenza ed esperienza. Ora tocca a noi, alla famiglia del popolarismo europeo, battere la sinistra europea”, sono state le parole del Ministro degli Interni del nostro Paese.

Popolarismo? Forse molti politici oggi in auge non sanno nemmeno cosa voglia dire questa parola: era il 18 Gennaio 1919 quando Don Sturzo nel celebre “Appello ai liberi e forti” dettò le linee guida del Popolarismo. Sturzo parlava di “morale”, ribadiva la centralità della sovranità popolare e della collaborazione sociale quali fonti di una nuova autorità politica. Si opponeva nel modo più assoluto ad uno Stato accentratore. Per contro, proponeva uno Stato popolare in grado di rispettare gli organismi sociali naturali, come la famiglia.

Da alcuni decenni, invece, i leader europei fanno esattamente l’opposto. L’ex ministro Tommaso Padoa Schioppa disse: “L’Europa non nasce da un movimento democratico”. Lo confermò Prodi quando affermando: “Sono sicuro che l’euro ci costringerà a introdurre un nuovo insieme di strumenti di politica economica. Proporli adesso è politicamente impossibile, ma un bel giorno ci sarà una crisi e si creeranno i nuovi strumenti”. Era il 2001. Nel 2007, Giuliano Amato rincarò la dose e, in un’intervista a “Eu Observer”, disse che i legiferatori (non i legislatori che sono una cosa diversa) avevano deciso che il Trattato Lisbona “avrebbe dovuto essere illeggibile” perché “se fosse stato comprensibile, ci sarebbero state ragioni per sottoporlo a referendum”.

Un altro “padre fondatore” dell’UE, Jacques Attali, prima monarchico poi diventato socialista con Mitterand, disse: “L’Euro non fu certo creato per la gioia della plebaglia europea”. Il 24 gennaio 2011, aggiunse: “Ci siamo incoraggiati a fare in modo che uscirne [dall’euro n.d.r.] sia impossibile”. E concluse: “Non è stato molto democratico, naturalmente, ma è stata un’ottima garanzia per rendere le cose più difficili, per costringerci ad andare avanti”.

Anche lui mai eletto, ma solo nominato, Mario Monti, prima in Europa e poi in Italia, ha affermato: “Non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi, crisi gravi, per fare passi avanti (forse sarà per questo che Napolitano gli conferì l’incarico dopo la crisi del Governo Berlusconi: infatti è riuscito indiscutibilmente a far peggiorare le cose). I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario”.

Ultimo, ma non ultimo, ad unirsi a questo nucleo di “popolarismi” sturziani è proprio il neoscelto Juncker. Il quale solo qualche anno fa (ma già presidente dell’Eurogruppo) ha detto: “Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere cosa succede. Se non provoca proteste, né rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno”.

E questo sarebbe popolarismo? Questo, a ben vedere, è l’esatto opposto di ciò che voleva dire Don Sturzo (in questo momento di starà rivoltando nella tomba).

Il fatto di essere stato appoggiato dal Ppe non ha niente a che vedere con nessuno dei principi del popolarismo. Ma questo gli elettori (che non sono stati chiamati ad eleggerlo direttamente) non lo sanno, non lo sanno neanche quelli che lo hanno appoggiato, non lo sanno quelli che hanno riportato la notizia enfatizzando qualcosa che non potrebbe essere più sbagliata e certamente non lo sanno quelli che hanno voluto e fatto in modo che Junker venisse eletto (a loro, le ideologie politiche, non interessano).

Gli europei faranno bene ad abituarsi (gli italiani, dopo Renzi, lo sono già): Juncker non è il “nuovo che avanza”, è solo l’ultimo tassello, l’ultima pedina di un sistema molto poco democratico e, certamente, tutt’altro che popolare anzi, al contrario, accentratore e monopolista, gestito da enormi interessi economici che non hanno niente a che vedere con gli aspetti sociali e ideologici del continente Europa e con il popolarismo.

Dire che il nuovo leader è vicino al popolo è solo uno strumento mediatico (peraltro riuscito male). L’Europa di oggi è l’esatta antitesi del popolarismo. E fino a quando la gente non lo capirà, il popolarismo resterà chiuso nella tomba con il suo fondatore e gli europei continueranno ad essere succubi delle scelte antidemocratiche di pochi.

 

 

 

 


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