TRACKLIST:
Wrists Of Kings
Not In River, But In Drops
Dulcinea
Over Root And Thorn
1000 Shards
All Out Of Time, All Into Space
Holy Tears
Firdous E Bareen
Garden Of Light
Il cordone che legava gli Isis ai padri Neurosis è stato definitivamente reciso. Ma pare che la band di Boston sia sempre più intenzionata ad abbandonare una volta per tutte le sulfuree rive del post-hardcore per dirigersi verso astratti paesaggi psichedelici. A distanza di due anni da quel Panopticon, il cui titolo odorava di orwelliana paranoia, troviamo degli Isis diversi nell’estetica e nella sostanza. Il muro di chitarre si è assottigliato e le deflagrazioni sono meno frequenti, aumentando di contro l’immersione in condense in cui abitano suoni levigati e liquidi, figli di atmosfere introspettive e contemplative ed arpeggi che si intersecano e sovrappongono.
Il work in progress isisiano smantella l’impianto vocale fatto di urla rabbiose in più codificabili melodie che, purtroppo, non sempre riescono ad andare a fondo. Si percepisce una certa vena cantilenante che a momenti poco bene si sposa col contesto. Le composizioni si allungano maggiormente su strutture che si avvalgono della lezione progressiva dei Tool (principalmente in Not In River But In Drops) e le tessiture ritmiche conferiscono più dinamica alle andature. Nel tessuto sonoro giunge ad imprescindibile importanza l’impiego di keyboards e synth che estraggono effetti cosmici, di stasi quasi ambient (l’incipit di Over Root And Thorn, All Out Of Time, All Into Space), toccando il vertice di meraviglia estetica in Firdous E Bareen. Il crescendo iniziale di Wrists Of Kings, coi suoi fraseggi post-rock che si intrecciano, mostra già quale sarà l’andazzo dell’intero album, che troverà in Dulcinea uno dei picchi espressivi più alti, fluttuante nel suo incedere dimesso e fluido, così come 1000 Shards.
È però Garden Of Light il brano più affascinante e denso dell’intero lotto, con la sua ouverture che pare agitarsi lentamente tra onde di freddo magma, si impenna improvvisamente, si abbassa e respira, alza nuovamente il tiro, torna a volare radente, in una continua altalena d’intensità che sfonderà il muro dei nove minuti di durata. Non è post-rock. Non è post-hardcore. È tutt’e due e nulla dei due. Nonostante la caratura del songwriting sia sempre di notevole spessore, va detto che In The Absence Of Truth non si attesta al medesimo livello della triade Celestial/Oceanic/Panopticon, le prove in studio migliori del five-piece statunitense. Senza dubbio, gli Isis si trovano in un momento interlocutorio della loro carriera, una fase di transizione che li porterà a meglio definire la propria cifra stilistica in futuro. Magari tracciando la nuova direttrice che permetterà alla scena di continuare a rigenerarsi, Neurosis permettendo.
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