Per il terzo appuntamento della rassegna protagonista assoluta è l'artista romana Elisabetta Benassi, con l'installazione That's me in the picture, visitabile fino all'8 dicembre. In cui «a prevalere è il non detto della storia», da cui passa poi l'intero messaggio
Intermezzo 2019, la videoarte di scena a Villa Zito Artisti indagano il rapporto uomo-natura-libertà
L’artista romana Elisabetta Benassi, classe 1966, è la protagonista del terzo appuntamento di Intermezzo 2019, la rassegna di videoarte ideata e curata da Agata Polizzi allestita a Villa Zito. Un terzo incontro, questo, in cui ancora una volta si parla di spazialità e arte che dialogano con l’ambiente circostante attraverso l’adattamento dialogico allo spazio espositivo previsto. Una scommessa vinta sia dal punto di vista del recupero delle sale espositive, in particolare della media room, ma anche sul versante del pubblico, che si è mostrato subito molto interessato a questa seconda edizione della manifestazione, che porta a Palermo artisti di rilevanza internazionale.
That’s me in the picture è un’opera che indaga l’uomo attraverso il suo rapporto con la natura, offrendo al contempo una riflessione sul ruolo dell’artista nella contemporaneità, questione oggi ancora attuale nonostante il lavoro, intenso e commovente, di Elisabetta Benassi risalga al 2015. «Ho trovato questo filmato degli anni ’30 quasi per caso, era una pellicola in 16 mm che ho acquistato, tagliato e portato ad una mostra parigina, dove il risultato venne mostrato attraverso una vetrina posta su strada», racconta l’autrice dell’istallazione, visitabile fino all’8 dicembre 2019. «In pratica il filmato originale era la storia di un gruppo di cacciatori all’inseguimento di un gorilla nella foresta africana e in montaggio ho tagliato tutte le sequenze in cui sono presenti esseri umani, lasciando solo quelle con inquadrato il gorilla, seguendolo nei suoi spostamenti tra gli alberi, creando con lo stesso materiale una dimensione percettiva nuova, in cui lo spettatore spia l’animale» spiegano Benassi e la critica d’arte Giusi Diana.
La narrazione, resa completamente immersiva grazie ai cinque proiettori che moltiplicano lo spazio scenico e che trasformano l’area espositiva, restituisce la sensazione allo spettatore di trovarsi lì, nella foresta, diventando parte della scena stessa. «Il filmato originale, di cui ho mantenuto anche il sonoro, aveva un durata di trenta minuti, quello che ho costruito ne dura appena tre e, levando la componente umana, ciò che è rimasto è il gorilla – spiega -, visto come esempio di forza indomabile, un esempio dell’impossibilità dell’uomo di addomesticare la natura». Ma anche e soprattutto l’artista, almeno non senza ucciderlo, verrebbe da dire analizzando l’opera attraverso il filtro di un titolo fortemente provocatorio. «Il lavoro di Elisabetta Benassi parte solitamente dalla cronaca, filtrando il messaggio della notizia o dell’avvenimento attraverso la propria sensibilità artistica, politica e sociale assumendo una nuova forma, spesso profondamente eversiva rispetto al prodotto originale», spiega Giusi Diana illustrando la poetica dell’artista.
«Nei suoi lavori – prosegue – possiamo notare come il non detto della storia da cui parte finisca per assumere rilevanza attraverso lo sguardo dell’artista, capace di farlo emergere rispetto al significato principale. Esattamente come per la temporalità del film originale, da cui è stata sottratta la componente umana, deviando così dal concetto principale e arrivando ad una metafora dell’artista che non si lascia dominare e che non si piega al mondo. Se non nel momento della morte, facendo emergere da un filmato sulla dominazione dell’uomo in Africa il tema della libertà umana visto attraverso la libertà dell’animale», conclude la critica d’arte.