Indagato Sammartino, voti in cambio di un posto di lavoro Patto sarebbe stato siglato con il presunto boss Brancato

Un nuovo guaio giudiziario per il deputato regionale di Italia Viva Luca Sammartino. Il suo nome compare tra gli indagati dell’inchiesta antimafia Report che questa mattina ha disarticolato il clan Laudani e un pezzo della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano. Secondo la procura di Catania il luogotenente di Matteo Renzi in Sicilia sarebbe responsabile del reato di corruzione elettorale insieme al boss Girolamo Brancato conosciuto anche con il nome di Lucio, ritenuto un esponente storico del clan Laudani e con alle spalle precedenti per mafia ed estorsione.

Sotto la lente d’ingrandimento dei magistrati le elezioni regionali del 2017. Tornata che incoronò Sammartino come mister 32mila preferenze, un vero e proprio record. Il politico, secondo le accuse, avrebbe promesso «utilità» a Brancato «in cambio del suo voto e di quello della sua famiglia». Nello specifico riguarderebbe un posto di lavoro per il nipote nella ditta di rifiuti Mosema e un più contenuto impegno: spostare una cabina telefonica che nel 2017 si trova davanti a una struttura, a Massanunziata, frazione di Mascalucia. Perché dia così fastidio si capirà poi: scomparsa la cabina, al posto di quello che appariva come un rudere, è nato l’Ameliè lounge bar, attività riconducibile a Brancato e alla moglie, così come la pizzeria l’Annunziata, anche questa aperta poco distante in via delle Mandre. Eppure a far scomparire la cabina che avrebbe bloccato lo sviluppo dell’attività non sarebbe stata la politica ma una provvidenziale sparizione. C’è chi, nel quartiere, ricorda avvenuta facendola saltare in aria.

Nell’inchiesta Report a Brancato viene contestato anche il reato di associazione mafiosa e alcuni episodi di recupero crediti e il porto abusivo di armi da fuoco. Il suo sarebbe stato un ruolo di vertice anche in considerazione del rapporto con Giacomo Caggegi, quest’ultimo ritenuto un esponente del gruppo di Misterbianco. Brancato, secondo le forze dell’ordine, godeva della «forza di potersi sedere per trattare affari particolarmente delicati», si legge negli atti dell’inchiesta. In alcuni casi anche indossando le vesti di «arbitro» quando c’erano problemi con le cosche mafiose avversarie, soprattutto con il clan Cappello. Nel 2018 sarebbe riuscito a fare sedere allo stesso tavolo i boss responsabili del quartiere Barriera e delle zone di Acireale e Canalicchio

Per il deputato regionale invece non si tratta del primo guaio giudiziario. Per le regionali 2017 e per le politiche del 2018 è finito indagato per corruzione elettorale in un’inchiesta della Digos di Catania. Sul tavolo dei magistrati le presunte raccomandazioni per concedere posti di lavoro in cambio di preferenze. L’esponente dei renziani siciliani era stato indagato anche nell’inchiesta sulla regolarità del voto espresso da persone anziane di una casa di cura nel territorio di Sant’Agata li Battiati, ma la sua posizione è stata poi archiviata. «Sono consapevole di non aver commesso alcun reato – replica il deputato regionale attraverso uno stringato comunicato stampa – Quando avrò contezza degli atti, sarò in condizione di replicare e mi difenderò adeguatamente».


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