"Una caipiroska. Ho detto: UNA CA-I-PI-ROS-KA!" Costretti a ripetere a voce alta se non addirittura a compitare il nome di un cocktail che avete appena ordinato? Niente di più facile. L'udito di un'intera categoria professionale è in pericolo
Incerti di un mestiere
Il gomito del tennista, il piede d’atleta, o il ginocchio della lavandaia – di non soffrire il quale scopriva, spiacevolmente sorpreso, l’ipocondriaco protagonista di un racconto di J.K.Jerome – sono quello che gli esperti di medicina del lavoro definiscono come malattie professionali, identificate con un linguaggio meno criptico di quello, d’elezione, del settore, attraverso il loro sintomo più evidente. Una sortita nel collaterale ambito delle deformazioni artistiche e professionali sarebbe naturale, riflettendo su come particolari aspetti dell’abito mentale imposto da alcuni lavori finiscano con l’assumere il preoccupante carattere della psicosi, e psicanalitici dintorni. Viene in mente, ad esempio, la letale coppia interpretata da Kathleen Turner e Dennis Quaid che in un film degli anni ’80 aveva il brutto difetto di scegliere il sistema più cruento anche nello spegnere una abat-jour. Sarebbe una sortita forse interessante, ma del tutto accessoria.
“Adoro questa città.” E’ una battuta cinematografica molto popolare, ma anche quanto pensa chi scrive a proposito della propria. E’ semplicemente formidabile il numero di pubs, american bar, enoteche sorti negli ultimi diciotto mesi, ma sarebbe inopportuno quanto apertamente inelegante citarne qualcuno. In molti locali è la presenza di musica dal vivo a fare la differenza. Ed è proprio qui il punto. La pressione sonora prodotta durante una performance di una qualsiasi band ha una discreta familiarità con la soglia del dolore e a farne le spese è, naturalmente, il personale che viene investito senza quartiere da un trionfo di decibel per delle ore, per dei mesi; probabilmente non senza conseguenze irreparabili per i timpani.
Chi ha la diretta responsabilità della ristorazione in un locale notturno è spesso vilipeso e sottopagato. Ingiusto. Ma può darsi che la sfortuna di chi serve ai tavoli di un wine bar sia quella di non aver mai davvero colpito la fantasia, ad esempio, di un soggettista della celluloide. Tranne, forse, i barmen: come non ricordare un rampante Tom Cruise in “Cocktail” fare meraviglie producendosi in evoluzioni di ogni genere con un semplice shaker?
La soluzione potrebbe essere fornire a tutti cuffie da poligono di tiro. Magari a forma di flûte.Voi cosa ne pensate? Stay tuned.