Cronaca

Siracusa, un incendio ha divorato la balza delle Mura Dionigiane. «Area archeologica abbandonata»

Da ieri in Sicilia brucia sul bruciato. Un vasto rogo ha distrutto la balza delle Mura Dionigiane di Siracusa. «Sono passati pochi dall’ultimo incendio devastante e nulla è stato fatto per mettere in sicurezza il sito». È l’amara constatazione di Carmela Pupillo, titolare dell’azienda agricola di famiglia che è stata seriamente danneggiata dalle fiamme divampate alle 12.30 di ieri. Alimentato dal vento di scirocco, il fuoco ha divorato la vegetazione di uno dei polmoni verdi più importanti della città di Siracusa e ha causato danni incalcolabili alle vigne e alle strutture dell’azienda agricola Pupillo. «Nonostante le numerose chiamate ai numeri di emergenza – lamentano gli imprenditori – nessuna squadra dei vigili del fuoco è riuscita a intervenire».

Non una questione solo privata. «Tutta l’area archeologica dell’Epipoli – lamenta Carmela Pupillo – è in completo abbandono, senza controlli, senza manutenzione, senza la ben che minima prevenzione in termini di incendi». E, così, bruciano gli ulivi, le vigne, le pietre antiche, bruciano ettari di biodiversità che erano casa e rifugio di tanta flora e fauna spontanea che differenzia questo territorio dagli sfruttamenti intensivi e dagli impianti industriali». Un disastro che non è possibile nemmeno quantificare. «Ma più di ogni cosa a bruciare dentro è un sentimento di rabbia e di frustrazione per l’inadeguatezza delle misure di prevenzione e di contenimento. Ogni estate – aggiunge l’imprenditrice – la nostra terra brucia, è un fatto risaputo, ma nonostante questo non ci sono mai uomini e mezzi in grado di contrastare un’emergenza che non è più un’emergenza». Una riflessione che Pupillo chiarisce di non voler fare con l’intenzione di «puntare il dito contro i vigili del fuoco, impegnati a fronteggiare le fiamme di altre decine di roghi. Ma è evidente – conclude – che questo sistema di prevenzione e di pronto intervento non funziona e che qualcuno dovrà, prima o poi, assumersi delle responsabilità».

Marta Silvestre

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